Avanti con Taiwan, abbasso la Cina. Ecco cosa chiedono 50 senatori Usa. Tutti i dettagli
Da quando è in corso lo scontro tra Usa e Cina, le parole “decoupling” e “rilocalizzazione” hanno conosciuta una nuova fortuna, specialmente man mano che proseguiva il dibattito sulla necessità degli Usa di emanciparsi dalla dipendenza economica dalla Cina.
LA LETTERA DEI 50 SENATORI USA
La proposta avanzata da cinquanta senatori Usa di tutti e due i partiti va esattamente in questa direzione. Firmata per primi dal presidente della commissione Affari Esteri Jim Risch e dai co-presidenti del Taiwan Caucus Jim Inhofe e Bob Menendez, la lettera scritta dai senatori è indirizzata al rappresentante Usa al commercio pregandolo di avviare quanto prima un negoziato con Taiwan per stringere un accordo commerciale.
IL MESSAGGIO PRO TAIWAN
“Mentre procediamo con la nostra iniziativa di (guidare) un libero e aperto Info-Pacifico”, scrivono nella lettera i cinquanta senatori, “noi crediamo che sia venuto il tempo di stabilire accordi commerciali nella regione con paesi che la pensano come noi”.
Nella lettera si nota che Taiwan è l’11mo partner commerciale degli Usa, con 76 miliardi di dollari di merci scambiate vicendevolmente nel 2018 e un commercio specifico nei servizi che ha raggiunti la cifra di 18,5 miliardi di dollari. A questi dati lusinghieri si aggiungono i circa 200 mila posti di lavoro americani sostenuti dalle aziende taiwanesi, “un numero che non farà altro che incrementare”, scrivono i senatori, “nell’ambito di un accordo commerciale complesssivo”.
IL RUOLO DI TAIWAN
Ma il punto cruciale della lettera è quello in cui si accenna a sostituire la Cina con Taiwan per le esigenze industriali degli Usa e della comunità occidentale.
“Taiwan”, osservano i senatori, “è un partner affidabile per molte delle nostre industrie. Questo non è importante solo per diversificare le nostre catene del valore, ma è essenziale per ridurre la nostra dipendenza da paesi come la Cina (…). Diversificare la nostra supply chain è fondamentale per la nostra sicurezza nazionale”.
TAIWAN ANTI CINA
Sotto l’amministrazione Trump, i rapporti con Taiwan non sono mai stati così floridi. Contravvenendo ad una convenzione che voleva che i membri del governo americano non mettessero piede a Taiwan per non irritare la Cina, gli Usa negli ultimi mesi hanno inviato numerosi funzionari nell’isola, l’ultimo dei quali è stato il sottosegretario di Stato Keith Krach che ha partecipato ad un memoriale per Lee Teng-hui, noto come il “padre della democrazia” di Taiwan.
COSA HA FATTO TRUMP
Appena questo mercoledì, inoltre, Washington e Taipei hanno firmato un altro accordo per sviluppare congiuntamente delle infrastrutture nel Sudest asiatico e in America Latina. E le vendite di armi procedono come al solito.
Taipei inoltre quest’estate ha rimosso uno dei principali ostacoli ad un eventuale accordo commerciale con gli Usa, vale a dire le restrizioni sulle importazioni di carne di manzo e di maiale americane, ritenute una priorità dagli Usa per qualunque tipo di intesa.
Sintonia democratica e cooperazione nelle industrie di punta sarebbero dunque i punti da cui partire per costruire una grande alleanza che, nell’auspicio dei senatori, attirasse altri paesi della regione parimenti intimoriti dall’ascesa della Cina e preoccupati per la sicurezza delle proprie catene del valore.
L’ingenuità della proposta dei senatori sta nell’individuazione dell’interlocutore: è difficile infatti, nota Claire Reade, già assistente rappresentante al commercio Usa per gli affari cinesi, che una simile decisione di avviare negoziati con Taiwan possa essere messa in campo da un funzionario minore come il rappresentante al Commercio rispetto ad una Casa Bianca che saprebbe districarsi bene, probabilmente, nel ginepraio dei rapporti con Taiwan funestati dalle minacce cinesi.
LO SCENARIO
E questa è una probabilità che secondo Reade non si realizzerà a breve termine, visto che la Casa Bianca è in fervente attesa dei dati sulle importazioni cinesi dagli Usa di beni agricoli come concordato nella cosiddetta fase 1 dell’accordo cmmerciale.
Per non parlare del fatto che i fronti aperti dagli Usa con la Cina sono talmente numerosi che aggiungerne un altro e di questa portata, per giunta mentre l’amministrazione Trump è al suo capolinea, è semplicemente infattibile.
Ci penserà un Trump rieletto, o eventualmente Joe Biden, a valutare questo passaggio drammatico che porterebbe a recidere il nodo gordiano con la Cina e a immaginare un Pacifico più interconnesso sotto la più che probabile egemonia Usa.