Il bombardamento della base libica di al-Watiya (base per le forze di Tripoli sostenute dalla Turchia). Il ruolo pro Haftar degli Emirati Arabi Uniti. Le manovre dell’Egitto. E non solo. Il punto sulla Libia con l’analista e docente Michela Mercuri, autrice del saggio “Incognita Libia”.
Un misterioso bombardamento alla base libica di al-Watiya, oggi controllata dalle forze turche che sostengono il GNA di Tripoli contro il campo avversario del generale Haftar e dei suoi alleati, riaccende i riflettori su una guerra che sembra non finire mai.
A distanza ormai di due giorni, resta ancora un mistero l’ìdentità degli aerei che hanno colpito la base demolendo tre sistemi di difesa anti-aerea turca, in un atto che non lascia presagire nulla di buono e lascia anzi intuire il rinfocolarsi di ostilità per il momento congelate.
Per chiarire il mistero di al-Watiya, e fare il punto sulla crisi libica, Start Magazine ha sentito Michela Mercuri, docente alla SIOI, all’Università Niccolò Cusano e all’Università di Macerata nonché componente dell’Osservatorio sul Fondamentalismo religioso e sul terrorismo di matrice jihadista e autrice del saggio “Incognita Libia”.
A Mercuri il compito di entrare nel merito di quel blitz, dei suoi possibili artefici e delle motivazioni di un atto che potrebbe innescare la reazione immediata turca e aprire un vaso di Pandora che, visti i vari attori in campo, farebbe impallidire anche quello che si è visto sin qui nella nostra ex colonia.
Prof. Mercuri, chi è stato ad attaccare la base di al-Watyia?
Al momento non ci sono elementi per determinare chi sia stato. Sicuramente bisogna tenere conto di un dato, ossia che al-Watiya è una base strategica nell’Ovest del Paese che le forze di Tripoli sostenute dalla Turchia hanno riconquistato recentemente al generale Haftar. È dunque facile immaginare che l’attacco sia riconducibile al gruppo dei sostenitori di Haftar.
Però vari media e siti, specialmente sui social, hanno fatto – non si sa su quali basi – i nomi.
Alcuni hanno parlato di Mirage emiratini che sono giunti dalla base di Sidi Barrani in Egitto. Altri, specialmente fonti locali, hanno parlato di aerei francesi provenienti dal mare. Altri ancora pensano che si trattasse di aerei provenienti dalla base di al-Jufra, che sappiamo essere controllata dai russi. È bene sottolineare che tutti questi attori, della cui responsabilità nell’attacco non abbiano le prove, sono comunque consapevoli che la base di al Watiya è strategica per la controparte nell’ottica di riconquistare Sirte, che in questo momento rappresenta il prossimo probabile teatro di guerra tra i due campi contrapposti. E Sirte interessa molto ai francesi, ai russi e naturalmente anche ad Haftar.
Quale reazione possiamo attenderci ora dalla Turchia?
Nonostante sembra non ci siano state vittime, penso proprio che la Turchia possa ravvisare nell’attacco un casus belli e decidere di intensificare le proprie azioni militari verso l’Est libico. Noi sappiamo che la Turchia ha un disegno di penetrazione che non si limita all’Ovest libico; ha disegni egemonici che riguardano anche l’Est, e in definitiva tutto il teatro libico. E in questi disegni rientra proprio Sirte che per la controparte rappresenta però una linea rossa da difendere a tutti i costi.
Come si comporteranno invece gli altri attori coinvolti nel conflitto?
Negli ultimi tempi è stato l’Egitto a fare la voce più grossa. Ha tentato di imporsi da piacere stendendo una road map per la pacificazione del paese riproponendo il piano del capo del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh. Sappiamo però che la proposta è stata rispedita al mittente tanti dai tripolini quanto dai turchi. Ecco allora che l’Egitto ha minacciato di gettare i propri soldati nella mischia. Ritengo tuttavia che l’Egitto sia ancora per una linea di mediazione e non compirà, almeno nel breve termine, atti eclatanti. I russi, dal canto loro, stanno tentando di trovare un accordo con la Turchia per tutelare i loro interessi che vanno ben oltre la Libia. Si è parlato addirittura di un preaccordo tra turchi e russi che garantirebbe ai secondi uno sbocco sul mare nell’area della Cirenaica che sarebbero compensate con basi turche ad al Watiya. C’è però un attore più preoccupante in questo contesto.
Di chi si tratta?
Sono gli Emirati Arabi Uniti, che sono davvero gli unici rimasti a sostenere in armi il generale Haftar. Gli Emirati non vogliono mollare a tutti i costi questa guerra anche perché vi hanno investito parecchio. Non è un caso che i sospetti per l’attacco dell’altro ieri si appuntino soprattutto sulla loro aviazione. Sono quindi loro l’attore da convincere nell’ambito di qualsiasi trattativa di pace e stabilizzazione della Libia.
Il processo diplomatico nel frattempo è congelato, o procede a tentoni e con scarsi risultati. Quali novità ci sono su questo fronte?
In questo momento qualsiasi trattativa tra le parti è resa oggettivamente difficile dal nodo di Sirte, che ambedue desiderano ardentemente controllare. In ogni caso, quel che si può osservare è uno scollamento tra la politica messa in campo fin qui dalle istituzioni internazionali, che di fatto si è fermata a gennaio con la fallimentare Conferenza di Berlino, e quel che succede sul terreno, ossia una guerra in corso, con morti, bombardamenti e tutto il resto. Dunque la partita è ancora aperta e le istituzioni e gli attori internazionali sono impotenti e divise come al solito. Se a questo aggiungiamo le dimissioni del rappresentante Onu per la Libia Salamé, e lo stato di impasse di Europa e Nato, l’equazione è piuttosto semplice, ossia non vedo al momento alcuna possibilità che le istituzioni internazionali riescano a ritagliarsi un ruolo in questa crisi.
Negli ultimi giorni sono stati fatti dei tentativi di sbrogliare il nodo della redistribuzione dei proventi del petrolio, con proposte sia da parte Onu che da parte di Haftar. Crede sia possibile risolvere un problema del genere?
La redistribuzione dei proventi petroliferi è davvero una delle chiavi della crisi libica. Ma pone ostacoli formidabili. Azioni come quelle che sono state tentate non avevano alcuna chance di andare in porto perché i proventi devono essere gestiti da un’unica istituzione, la Noc, la quale dovrebbe essere messa quanto prima nelle condizioni di tornare a gestire la produzione petrolifera libica e ridistribuirne la rendita in modo equo anche con l’aiuto degli altri attori internazionali.