C’è uno sviluppo, importante e forse decisivo, nelle indagini sulla sparizione, tortura e uccisione di Giulio Regeni in Egitto. Spunta infatti un testimone che avrebbe captato la confessione, fatta a un collega, di uno dei cinque funzionari della National Security egiziana indagati dalla Procura di Roma per il delitto. Nel colloquio, il funzionario avrebbe ammesso quel che noi, in Italia, sapevamo già: che il ricercatore di Fiumicello era tenuto sotto controllo dalla National Security in quanto presunta “spia inglese”; e che la stessa National Scecurity, con la partecipazione diretta del funzionario in questione, si è non solo occupata del sequestro di Giulio, avvenuto nel giorno in cui al Cairo cadeva l’anniversario della rivolta di Piazza Tahrir, ma ha anche infierito seduta stante sul suo corpo. Non è una novità da poco, anzi. Costretta sino ad oggi a lavorare su indizi e informazioni frammentarie, in un quadro di omertà e reticenza scoraggianti, la Procura di Roma dispone ora di una prova testimoniale che arricchisce, e corrobora, le ipotesi investigative. Per il Procuratore Giuseppe Pignatone la testimonianza è attendibile nonché congruente con gli elementi acquisiti sinora. Di qui la scelta di inoltrare al Cairo una nuova rogatoria, della quale il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha parlato al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi in un colloquio telefonico avvenuto sabato. Siamo di fronte ad una svolta in una vicenda che ha indignato e frustrato un’intera nazione? La tanto invocata “verità per Giulio” è finalmente alle porte? Non dobbiamo, purtroppo, nutrire illusioni. Il lavoro della Procura di Roma continuerà a sbattere contro il muro di un regime che non intende ammettere l’errore e ha deciso sin dal primo momento di non volerci concedere giustizia. L’Egitto non cooperava quando abbiamo ritirato il nostro ambasciatore dal Cairo, e continuerà a farlo anche oggi, a pochi giorni dal referendum con cui il popolo egiziano, con maggioranza bulgara, ha votato per prolungare il potere di Sisi sino al 2030. È un regime, per giunta, che gode di appoggi e complicità al massimo livello. Appena quindici giorni fa il novello Faraone è stato ricevuto alla Casa Bianca, dove il padrone di casa gli ha offerto un dono ambito: la promessa di designare come organizzazione terroristica quel movimento dei Fratelli Musulmani che Sisi esautorò con il golpe del 2013 e che, da allora, è oggetto di quella feroce repressione in cui è finito intrappolato anche un ragazzo innocente arrivato dall’Italia. Tutto lascia pensare, insomma, che le acque che hanno risucchiato la vita del povero Giulio continueranno per lungo tempo ad essere torbide. E che i frammenti di verità che emergeranno malgrado tutto saranno sepolti sotto la coltre di silenzi e dinieghi che ci è stata riservata in questi tre lunghi anni. Non entusiasmiamoci troppo, perciò, per la pur importante novità di queste ore. È solo una tappa di un calvario che potrebbe non finire mai.
Caso Regeni: un lampo di luce su un quadro d’omertà e reticenza, ma non illudiamoci
Pubblicato il 06/05/2019 - Messaggero Veneto
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