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Caso Jack Ma/ O obbedisci o sei fuori: il Partito comanda su tutto (e tutti)

Pubblicato il 07/02/2021 - Il Sussidiario.net

C’è chi lo dava per espatriato dopo aver fatto perdere le proprie tracce. Altri invece lo immaginavano precipitato nel tunnel del sistema giudiziario cinese; per altri ancora aveva semplicemente deciso di mantenere un basso profilo mediatico. Sta di fatto che Jack Ma, il fondatore di Alibaba, ossia l’Amazon cinese, con quasi 700 milioni di utenti, è riapparso all’improvviso il 20 gennaio, dopo due mesi e mezzo di assenza dalla scena pubblica in un video diffuso dall’emittente locale Tianmu News, organo ufficiale del governo della provincia di Zhejiang, la stessa in cui si trovano gli stabilimenti di Alibaba.

Nel filmato di 48 secondi, presto diffuso ad arte dai media di stato, l’ex insegnante di inglese diventato uno degli uomini più ricchi del mondo viene inquadrato in un’anonima stanza mentre si rivolge a una platea di docenti rurali collegati on line. Sono compresi inoltre alcuni frammenti video di una visita di Ma ad una scuola di Hangzhou avvenuta secondo i media cinesi il 10 gennaio.

Nel suo discorso agli insegnanti, di cui gli organi di informazione cinesi si sono premurati di diffondere la trascrizione integrale, il tycoon non si limita a sottolineare come sia “responsabilità della nostra generazione di imprenditori di migliorare l’educazione nelle aree rurali e lavorare sodo per la rivitalizzazione rurale e la prosperità comune”. La parte chiave di ciò che diversi sinologi menzionati dal Guardian hanno definito “il video di un ostaggio” è quella in cui Jack Ma afferma  di “avere studiato e pensato in questi giorni con i miei colleghi” e di essersi “deciso ad occuparsi più risolutamente di attività filantropiche”, tutte formule che tradiscono la prassi tipicamente cinese della ‘rettifica’ ossia del riallineamento alle direttive del partito e di Xi Jinping in particolare.

Il mistero della scomparsa di uno degli uomini simbolo della poderosa crescita dell’e.-commerce cinese si risolve quindi con una plateale autocritica rispetto al discorso tenuto il 24 ottobre scorso durante un forum a Shanghai alla presenza di alte personalità del partito tra cui il vicepremier Liu He. In quella circostanza un Ma senza freni aveva osato criticare aspramente il sistema regolatorio e bancario cinese paragonandone la mentalità a quella di un “banco dei pegni” che soffoca l’innovazione. Un intervento da turboliberista condito da affermazioni choc come “non si può regolare il futuro con i mezzi del passato”, con un affronto aggravato dall’aver esplicitamente contraddetto Wang Qishan, braccio destro di Xi Jinping, che aveva parlato prima di lui. Una sfida frontale, dunque, che non poteva lasciare indifferente la leadership del partito e che pare abbia indispettito lo stesso Xi Jinping.

La rappresaglia infatti non tardava a scattare: pochi giorni dopo Ma e molti executive del suo gruppo venivano convocati d’imperio dalle autorità regolatorie. Ma la mossa più clamorosa di tutte fu di cancellare l’Ipo da 37 miliardi di dollari di Ant Group, il braccio finanziario di Alibaba, che sarebbe stata la più grande della storia, a meno di 48 ore dall’esordio nelle Borse di Shanghai e Hong Kong. Da quel momento, Ant Group è finita sotto tutela per i regolamenti fintech, mentre Alibaba è incappata in un’indagine dell’antitrust per pratiche monopolistiche legate a internet ed e-commerce. Fiutando la scomunica di Jack Ma, gli investitori hanno fatto perdere al titolo di Alibaba l’equivalente di 260 miliardi di dollari.

Naturalmente esistono anche altre interpretazioni circa quanto è successo. Il Corriere della Sera ad esempio suggerisce che “il multimiliardario non è stato punito per quello che ha detto in pubblico, quell’assalto ai regolamentatori della finanza; è stato messo sotto tutela per quello che ha fatto in privato, costruendo un sistema capace di battere le elefantiache banche statali”. È una lettura che trova d’accordo, Michele Marsonet, per il quale “Xi Jinping e il suo gruppo dirigente hanno risolto la questione in modo molto spiccio, accusando Jack Ma di aver acquisito sul mercato una posizione di monopolio giudicata intollerabile e contraria agli interessi del Partito”.

Sintetizza bene dunque Bill Bishop, estensore della newsletter Sinocism, quando afferma che Jack Ma “è uno dei più popolari e ben conosciuti” imprenditori cinesi ”che è diventato bersaglio della nuova ansia della leadership per gli uomini che sono diventati troppo grossi per le loro scarpe e che detengono un potere che rivaleggia con l’autorità dello stesso Partito”.

Vista sotto questa luce, la scure abbattutasi su Ant Group diventa più che comprensibile anche nei suoi sviluppi più recenti. L’intervento delle autorità regolatorie ha contribuito infatti, seconde le stime di Bloomberg Intelligence,  a ridurre notevolmente il valore di mercato della fintech di Ma. Stando al parere dell’analista Francis Chan riportato dal Sole24ore, la quotazione del gruppo è precipitata dai 320 miliardi a suo tempo fissati per l’Ipo agli attuali 108.

La vicenda di Jack Ma ci svela dunque come nell’attuale corso della dirigenza cinese non sono al riparo nemmeno i tanti tycoon venuti alla ribalta nella stagione della poderosa crescita economica innescata dalle riforme di Deng e che nessuno può pensare di agire di testa propria deviando dalla linea fissata dal Partito.

In definitiva, ha più di una ragione l’Associated Press nel sottolineare come il Partito comunista cinese abbia voluto fare di Jack Ma un esempio e al tempo stesso un monito nei confronti di coloro i quali non solo osano criticare le prassi regolatorie di stato ma con le loro  imprese tentano di porsi fuori dal sistema.

CinaEconomiaIl Sussidiario.net
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