L’Amministrazione Biden ha un temibile nemico da battere, se vuole scongiurare una rilevante erosione dei consensi in seno all’opinione pubblica americana, e soprattutto una bruciante sconfitta alle prossime elezioni di medio termine: l’inflazione.
INFLAZIONE GALOPPANTE
A maggio l’indice aveva segnato un aumento dell’8.6% su base annua, il più grande balzo dal 1981. Come segnalano i dati di Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analytics, riportati dalla Cnn, la famiglia media americana sta spendendo ogni mese circa 460 dollari in più rispetto all’anno scorso e questo per via di aumenti record alla pompa di benzina, il cui prezzo è salito di quasi il 50% rispetto all’anno scorso, e del rincaro dei generi alimentari cresciuti di quasi il 12%.
Se in un primo momento il governo si era limitato a fare affidamento sulle politiche della Fed, il cui rialzo dei tassi di interesse ha fatto tuttavia scattare l’allarme ribassista sui mercati azionari e il timore di una imminente recessione, ora è tuttavia vivo il dibattito su ulteriori misure da prendere per evitare il peggio.
I DAZI TRUMPIANI
Ecco dunque che nel mirino dell’esecutivo sono finiti i superdazi anticinesi varati nel 2018 e nel 2019 dall’Amministrazione Trump, che puniscono con prelievi fino al 25% una vasta gamma di prodotti made in China per un ammontare complessivo di oltre 350 miliardi di dollari.
Non è un caso se nelle ultime settimane si sono moltiplicate le rivelazioni circa le discussioni interne all’entourage di Biden sull’opportunità di rimuovere in tutto o in parte dazi che, con qualche rilevante eccezione, non sono mai stati visti di buon occhio in casa democratica.
DECISIONE IMMINENTE?
Già all’inizio di questo mese, riporta ancora la Cnn, si parlava di una decisione che sarebbe stata presa entro poche settimane. Ma la tempistica, così come l’intensità del dibattito interno alla Casa Bianca, hanno conosciuto una drastica accelerazione nelle ultime settimane, e fonti informate riferiscono ora a Reuters che Biden vorrebbe parlarne direttamente con Xi Jinping in vista o a ridosso dell’ormai imminente G7.
LE DIVERGENZE NELL’AMMINISTRAZIONE
Il problema, per Biden, è che non si registra all’interno della sua compagine di governo unanimità di vedute circa l’opportunità di questa mossa. A chi saluterebbe con favore l’eliminazione di provvedimenti ritenuti di scarso rilievo strategico, si oppone chi riterrebbe la soppressione dei dazi una misura inutile da un punto di vista economico e addirittura dannosa sotto il profilo delle relazioni in continua evoluzione con la Cina.
A dare voce due settimane fa a queste perplessità è stato il Segretario al Tesoro Janet Yellen che, pur dicendosi favorevole alla cancellazione di alcuni dazi, ha aggiunto che non la riteneva “una panacea riguardo all’inflazione”. Per Yellen infatti non è ai beni importati dalla Cina — colpevole inoltre secondo l’ex numero 1 della Fed “di molte pratiche commerciali scorrette” — che bisogna guardare per aggredire il problema.
Ma parlando più recentemente a fianco del Presidente Biden in occasione di una Convention dei sindacati, l’addetta stampa Karine Jean-Pierre ha definito “irresponsabili” i dazi trumpiani, i quali nulla farebbero per “fare avanzare la nostra sicurezza economica o nazionale”.
Ed è di ieri la precisazione della portavoce della Casa Bianca, riferita da Reuters, secondo cui la priorità ora per l’Amministrazione è salvaguardare gli interessi dei lavoratori e delle imprese senza “far salire in modo non necessario i costi per gli americani”.
IL DIBATTITO NAZIONALE
Nel Paese intanto il dibattito si è fatto molto vivace, con prese di posizione nell’una e nell’altra direzione.
“Crediamo che sia il momento sbagliato per ammorbidire i dazi sulla Cina”, è stato ad esempio il commento di Liz Shuler, presidente del sindacato AFL-CIO, che ha incontrato Biden la scorsa settimana alla Convention di Philadelphia.
Si è fatto sentire anche l’ex Segretario al Tesoro di Bill Clinton Larry Summers ma con una opinione diametralmente opposta: “io penso che, se possiamo ridurre i dazi laddove questi non sono strategici e ci stanno penalizzando, senza peraltro danneggiare nemmeno i cinesi, si possa dare un significativo contributo alla riduzione dell’inflazione”.
Più sfumata invece l’opinione di Margaret Cekuta, ex funzionaria al commercio che oggi dirige la società di lobbying Capitol Counsel: “da un punto di vista economico non ha molto senso, anche se potrebbe aiutare a combattere l’impatto psicologico dell’elevata inflazione”.
Ancora più articolato è il pensiero di Gary Hufbauer, ricercatore del Peterson Institute for International Economics, secondo il quale il taglio dei dazi cinesi non contribuirebbe granché da solo alla riduzione dell’inflazione. Diverso sarebbe il caso in cui la Casa Bianca decidesse di rimuovere, oltre a quelli sul Made in China, anche le altre misure punitive introdotte ad esempio sull’acciaio straniero o sul legname canadese: in questo caso, secondo l’economista, si potrebbe sperare in una riduzione dell’inflazione dell’1,3%.
FINE DELLA GUERRA COMMERCIALE?
La lunga pausa dell’emergenza Covid e il deflagrare della guerra in Ucraina avevano messo in ombra il contenzioso commerciale sino-americano. Ereditata dall’Amministrazione Trump, la guerra dei dazi ha visto il successore Biden temporeggiare guardandosi bene però dal rimuovere provvedimenti che, all’epoca, erano stati pensati per modificare alla radice la natura della relazione commerciale tra i due Paesi.
Ma ora, con l’obiettivo della lotta all’inflazione, non si esclude di ammainare la bandiera. Naturalmente non è detto che si azzeri tutto: come rileva Reuters, è molto probabile che l’eliminazione dei dazi sarà solo parziale e non riguarderà beni considerati “strategici“ come i circuiti e i semiconduttori.
Nei prossimi giorni sapremo se anche questo retaggio del trumpismo sarà tramontato o se la disfida tra le due maggiori economie del pianeta proseguirà sotto altre forme.