Rivendicato dall’organizzazione terroristica che ha appena minacciato l’Italia, l’attacco a obiettivi occidentali ad Ouagadougou in Burkina Faso evidenzia l’estensione della minaccia in una fase in cui è esplosa la contesa tra Stato islamico ed al Qaida per la primazia della causa jihadista.
L’assalto all’hotel Splendid e al caffè-ristorante Le Cappuccino ripropone lo schema già visto in recenti azioni. Per paternità e modalità di esecuzione, esso si ricollega al piano messo a segno a novembre in un hotel del limitrofo Mali, infestato come il Burkina Faso da milizie che nuotano nell’instabilità di una regione piagata dalla fragilità delle istituzioni, dal sottosviluppo e da fiorenti traffici illegali. A finire nel mirino è di nuovo un “soft target”, prediletto dagli attentatori perché poco sorvegliato e frequentato da esponenti del “miscredente Occidente”, colpevole di incarnare una civiltà avversata e di opporsi alla sovversione jihadista. Sono gli stessi obiettivi presi di mira a Giacarta, dove una delle esplosioni ha lacerato il caffè Starbucks, e a Istanbul, dove sono caduti turisti tedeschi.
La similitudine di obiettivi e tecniche tradisce la matrice comune delle due galassie che si contendono la scena, quella califfale e quella qaedista, nate dalla stessa pianta ma divisesi nel 2013 a seguito della scelta di al-Bagdhadi di mettersi in proprio per fondare un’entità statuale nei territori espugnati della Siria. Una decisione che, contestata invano dal capo di al-Qaida Ayman al Zawahiri, ha dato vita all’odierno dualismo jihadista, in cui due organizzazioni competono per ottenere la fedeltà dei simpatizzanti attivi in vari punti della mezzaluna islamica e per essere il principale attore di uno scontro di civiltà fomentato sin dall’era di Osama bin Laden.
Nella sfida all’Occidente posta dall’intraprendenza jihadista, l’Italia è destinata a coprire suo malgrado una posizione prominente. Come sottolineato nel video diffuso dalla sigla che ha colpito Ouagadougou, al Qaida nel Maghreb islamico, la diplomazia italiana ha favorito la risoluzione della contrapposizione tra le due fazioni libiche rivali di Tripoli e Tobruk, sanzionata dall’accordo di Skhirat e dalla risoluzione ONU dello scorso dicembre. L’imminente formazione di un governo di unità nazionale è avversata tanto dallo Stato islamico, che ha messo entrambi i piedi nella terra di nessuno che sorge tra Tripoli e Tobruk, quanto da al Qaida, per la quale la Libia ha rappresentato la testa di ponte di un’espansione che ha interessato l’intera regione sub-sahariana. Agli occhi delle due formazioni jihadiste, l’Italia è entrata a gamba tesa in una sfera d’azione dove entrambe tentano di sferrare colpi a Paesi politicamente deboli e militarmente incapaci di resistere senza sostegno esterno.
Il nostro governo assiste preoccupato all’intensificarsi della minaccia sulla sponda sud del Mediterraneo ma anche alle manovre di Stati Uniti e Francia, la cui presenza sul suolo e sui cieli libici si sta rafforzando in vista dell’intervento internazionale che il nuovo governo tripolino invocherà dopo il suo insediamento. In vista di un ruolo italiano nella missione, vi è da sperare che il dispositivo di prevenzione delle nostre unità antiterrorismo si riveli efficace come è stato finora.