Per la terza volta dall’inizio di quest’anno, la Gran Bretagna è colpita da attentati islamisti. La prima volta accadde con Khalid Masood, che con il suo Suv percorse a gran velocità Westminister Bridge travolgendo numerosi passanti, prima di terminare la sua corsa sui palazzi del Parlamento, dove tentò invano di accoltellare alcune persone. La seconda volta è ancora fresca nella nostra memoria: è l’attacco kamikaze di Manchester Hall, dove due settimane fa un inglese di origine libica si fece saltare in aria portando con sé la vita di 22 giovani. Sabato, infine, il terzo tentativo. Tre uomini a bordo di un van hanno percorso il London Bridge ferendo varie persone, prima di scendere dal veicolo e lanciarsi in una feroce caccia all’uomo con coltelli affilati. Il bilancio sarebbe stato peggiore se le cinture esplosive indossate dai tre uomini fossero state autentiche, ma questo è un dettaglio. La verità è che la Gran Bretagna, è l’Occidente tutto, è alle prese con l’offensiva di Ramadan, la rituale chiamata alle armi che lo Stato islamico compie ogni anno all’approssimarsi del mese sacro. Sui canali Telegram dell’IS circolano da tempo appelli che esortano i simpatizzanti a colpire con ogni mezzo, compresi quelli del jihad low tech cui ci sta abituando la centrale del terrore. A dispetto delle qualità dei nostri servizi di intelligence, la verità è che assalti come quello di sabato sono impossibili da prevedere e tanto meno da sventare. Le cellule sono troppo compartimentate, il tempo di preparazione dell’attacco troppo basso per tentare di sventare il colpo, l’identità degli assalitori spesso nota alla polizia che ha purtroppo troppe persone da seguire per svolgere efficacemente il proprio compito. A noi cittadini europei, ormai adusi ad ascoltare notizie tragiche dalle capitali dei nostri Stati, non resta dunque che sperare ogni volta che non sia giunto il nostro turno? La realtà è che attentati come quelli di Londra ripropongono ogni volta il medesimo problema: quello di una religione che un manipolo di fanatici riesce a piegare ai propri scopi per convincere i propri seguaci a uccidere e a farsi uccidere. E parte della responsabilità spetta proprio al Corano, infarcito di citazioni violente che possono essere usate à la carte. “Uccideteli ovunque li incontriate” è uno di questo passaggi ben poco ambigui che possono fungere da pezza da appoggio per una guerra santa. Il Corano, si dirà, è anche pieno di affermazioni che esortano alla pace e alla tolleranza. La questione allora è tutta qui: quale Corano stanno leggendo i milioni di fedeli europei che, all’ombra dei nostri campanili, vivono spesso a disagio la convivenza in contesto occidentale? Gli insegnamenti degli imam, dei predicatori in che direzione indicano: verso i passaggi del Corano che favoriscono la pace tra i popoli e la tolleranza o verso quelli che incitano all’odio contro gli infedeli e alla loro morte violenta? Quando il presidente egiziano al-Sisi prese il potere, convocò all’università cairota di al-Azhar un imponente uditorio di religiosi esortandoli a riformare la fede islamica, perché non è possibile che una religione professata da due miliardi di persone terrorizzi le altri cinque. Il suo monito è ancora tristemente valido.
Sono assalti ormai impossibili da prevedere
Pubblicato il 05/06/2017 - Messaggero Veneto
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