Per il suo primo viaggio fuori dalla Cina continentale dall’inizio dell’emergenza Covid, Xi Jinping sceglie di visitare Hong Kong in occasione del venticinquesimo anniversario della restituzione del Porto profumato da parte della Gran Bretagna e della cerimonia di insediamento del nuovo chief executive John Lee.
UNA HONG KONG IRRICONOSCIBILE
Xi ha trovato un clima irriconoscibile rispetto alle analoghe ricorrenze di prima della pandemia. La Hong Kong del 2022 è infatti un territorio in cui sono state definitivamente domate le spinte democratiche che avevano condotto alle grandi proteste del 2013, 2014 e 2019.
Adesso sull’isola vige la draconiana legge sulla sicurezza nazionale voluta da Pechino e introdotta nel 2020 proprio per sedare i movimenti di protesta sorti per contestare la crescente ingerenza del Partito comunista cinese.
Nulla a Hong Kong è più come prima dell’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale, con migliaia di oppositori finiti in carcere e la vibrante stampa libera messa a tacere a colpi di provevdimenti giudiziari.
La presenza di Xi è valsa soprattutto a mettere in luce questa realtà. Come ha dichiarato al New York Times John P. Burns, professore emerito di scienze politiche all’Università di Hong Kong, si trattava certamente di “celebrare il venticinquesimo anniversario” del ritorno dell’isola alla Cina, ma anche di “dichiarare vittoeia sull’opposizione pandemocratica e sui suoi sostenitori”.
LE PAROLE DI XI
Questo era uno scenario ben visibile nei discorsi tenuti da Xi durante il suo soggiorno durato meno di 24 ore.
“Dopo il suo ritorno alla patria”, ha affermato ad esempio il Presidente con parole riportate dalla Cnn, “i compatrioti di Hong Kong sono diventati padroni delle loro vite. La gente di Hong Kong ha amministrato Hong Kong con un alto livello di autonomia, e questo è stato l’inizio della vera democrazia a Hong Kong”.
Che cosa Xi intendesse con “vera democrazia” lo ha chiarito nei passaggi successivi. “Il potere politico”, è il suo pensiero riferito ancora dal New York Times, “deve essere nelle mani di patrioti … nessun paese o regione nel mondo permetterebbe a forze non patriottiche o addirittura sediziose di assumere il potere”.
UN SISTEMA POLITICO ASSERVITO
È chiaro qui il riferimento alle riforme elettorali messe in campo negli ultimi due anni, che hanno condotto all’insediamento di una nuova assemblea legislativa composta da soli membri leali a Pechino, i quali a loro volta hanno eletto l’ex ministro della sicurezza John Lee come unico candidato in lizza in un processo di selezione pilotato dall’alto.
La scelta di Lee non è stata casuale. Con quarant’anni di carriera negli apparati di polizia alle spalle, il nuovo governatore è colui che ha presieduto con zelo alla soppressione del movimento di protesta e all’implementazione si un legge sulla sicurezza nazionale che, come lui stesso ha affermato durante il giuramento, “ha salvato Hong Kong dal caos”.
LE MIRE DI XI
È su di lui che ora Xi farà affidamento per mantenere l’ordine nell’isola e consentire allo stesso Presidente di rivendicare il trionfo sui dissidenti in occasione del XX Congresso del Partito comunista cinese che si terrà in ottobre e nel quale con tutta probabilità il nuovo timoniere cercherà di ottenere per sé un inedito terzo mandato alla guida del Paese.
Come ha evidenziato al New York Times Sonny Lo, commentatore politico di Hong Kong, è quanto mai probabile che “al Congresso del Partito di ottobre (Xi) metterà in rilievo il successo (del modello) Un Paese due sistemi”.
L’AMAREZZA DI BLINKEN
Ma, come ha notato il Segretario di Stato Usa Antony Blinken, del modello su cui si sarebbe dovuto poggiare fino al 2047 il sistema politico dell’isola secondo gli accordi presi dalla Cina con la Gran Bretagna, si è appena celebrato il funerale.
È infatti evidente, si legge nella dichiarazione rilasciata da Blinken, “che le autorità di Hong Kong e di Pechino, non considerano più la partecipazione democratica, le libertà fondamentali e i media indipendenti come parte di questa visione”.
LA FRUSTRAZIONE DEGLI HONGKONGHESI
Dal canto loro i cittadini di Hong Kong hanno vissuto l’anniversario con un mix di apatia e frustrazione. L’imponente schieramento di polizia ha scoraggiato qualsiasi velleità di manifestazione che prima della legge sulla sicurezza nazionale caratterizzavano ogni anno quata ricorrenza.
E poi, come si suol dire, gli hongkonghesi stanno votando con i piedi. Come rileva l’Ispi, “prosegue l‘esodo dei residenti dall’isola. Se nel 2020 la popolazione di Hong Kong era diminuita di 90.000 (unità), nel 2021 è scesa di altri 23.600 (..). Abitanti e aziende si stanno trasferendo in massa a Singapore, Dubai, Giappone, Corea del Sud e Tailandia, mentre i cittadini hongkonghesi stanno approfittando dei nuovi programmi di visto aperti da Canada e Regno Unito”.