Le ultime notizie sulla contrapposizione commerciale fra Usa e Cina
Non si ferma la furia trumpiana contro le presunte o effettive malefatte del Partito Comunista Cinese.
L’ultimo dardo infuocato partito in direzione da Pechino l’hanno scagliato – con un ordine emanato ma sospeso fino a sabato– le autorità doganali, che ora in poi non accetteranno più importazioni di materiale tessile o di pomodori e loro derivati dalla provincia cinese a maggioranza musulmana dello Xinjiang.
LE DOGANE AMERICANE NON ACCETTERANNO PIU’ COTONE E POMODORI DALLO XINJIANG
Il più che fondato sospetto è che dietro quelle merci vi sia il lavoro forzato degli Uiguri, la popolazione autoctona dello Xinjiang che secondo tutte le istituzioni internazionali e le maggiori ONG è sottoposta ad una repressione che mira a sradicarne l’identità culturale e religiosa con la scusa della lotta alla radicalizzazione islamista.
“ABBIAMO PROVE RAGIONEVOLI CHE DIETRO QUESTE MERCI VI SIA LAVORO FORZATO”, RISPONDE LA FUNZIONARIA DELLE DOGANE
“Abbiano prove ragionevoli, ma non definitive, che ci sia il rischio di lavoro forzato nelle catene del lavoro del cotone e del pomodoro nello Xinjiang”, ha affermato la dirigente delle dogane, Brenda Smith, promettendo di “continuare a investigare” sulla materia.
Naturalmente si tratta di un brutto colpo per la Cina, che è il quinto produttore al mondo di cotone, il quale viene lavorato prevalentemente nello Xinjiang.
Pechino ieri tuttavia non aveva solo ragioni per piangere. Una notizia del South China Morning Post avrà contribuito non poco a rincuorare le preoccupate autorità cinesi.
È successo che la Camera di Commercio Usa di Shanghai ha fatto un sondaggio tra i propri iscritti per sondarne gli umori relativi allo scontro Usa-Cina.
Le risposte che ne sono venute sono in parte scontate, nel senso che non può stupire che più di un’azienda su due si dica preoccupata per l’andamento della relazione tra le due superpotenze.
LA CINA PUO’ CONSOLARSI CON UN SONDAGGIO LUSINGHIERO CONDOTTO DALLA CAMERA DI COMMERCIO USA DI SHANGHAI
Ma nonostante il clima pessimo tra Pechino e Washington, e le continue intemerate di Donald Trump per predicare il decoupling dalla Cina, gli imprenditori di Shanghai non hanno nessuna intenzione di alzare le tende: ben il 92% degli imprenditori intervistati ha risposto più o meno hic manebimus optime.
DAL SONDAGGIO EMERGE CHE IL 92% DEGLI IMPRENDITORI NON INTENDE LASCIARE LA CINA
Per contro, è solo il 5,1% delle società con un fatturato superiore a 500 milioni di dollari che sta valutando di seguire il verbo trumpiano trasferendo altrove i propri impianti. Di queste, un 4,3% ha proprio intenzione di fare armi e bagagli e tornare in patria, che secondo gli intervistati risulta essere la quarta destinazione più popolare per la collocazione dei propri stabilimenti,.
SOLO IL 5,1% DELLE SOCIETà CON FATTURATO SUPERIORE A 500 MILIONI STA VALUTANDO TRASFERIMENTI
Per giustificare simili dati, il South China Morning Post evidenzia anzitutto che la stragrande maggioranza degli imprenditori intervistati si è stabilito a Shanghai da almeno dieci anni, e ha dunque un interesse consolidato a non effettuare mutamenti o comunque nutre sufficiente fiducia nell’ambiente in cui opera.
Ma uno dei motivi che potrebbe aver spinto così tanti imprenditori a dichiarare di non avere intenzione di lasciare la Cina è che questo Paese è ormai fuori dalla pandemia, laddove altri mercati sono ancora letteralmente nel panico.
La rabbia dei trumpiani a Washington contro la Cina sembra dunque non aver attecchito a Shanghai. Dove anzi ormai il 57% delle aziende ha il proprio giro d’affari all’interno della Cina, e dunque si cura poco di quanto accada fuori e di che potenza di fuoco possa disporre l’America sui mercati mondiali.
L’UNICA DIFFICOLTA’ RISCONTRATA DA UN TERZO DELLE AZIENDE USA IN CINA E’ CONVINCERE PARTE DEI PROPRI DIPENDENTI A NON RITORNARE NEGLI USA
Una conseguenza sul lavoro delle imprese americane in Cina dallo scontro con Washington viene comunque registrata dai sismografi della Camera di Commercio, ed è la maggior difficoltà di trattenere il proprio staff all’interno della propria azienda: ben un terzo delle società dichiara di non aver potuto impedire di partire per l’America il proprio personale.
Insomma, a giudicare da quel che pensano gli imprenditori di Shanghai, lo spettro del decoupling è più lontano che mai.