Un’ombra si allunga sul futuro del Medio Oriente: la crescente influenza iraniana sul quadrante siro-iracheno. Teheran non nasconde più la sua ambizione, già oggetto da lustri delle preoccupazioni delle potenze sunnite e di Israele: creare un corridoio terrestre che colleghi il Paese al Mediterraneo, passando per Paesi amici, se non alleati, come Iraq, Siria e il Libano sempre più ostaggio delle milizie di Hezbollah.
È un disegno, quello iraniano, che si sta concretizzando grazie ai successi militari degli ultimi mesi. La riconquista di Mosul e dei territori iracheni già sotto il controllo dello Stato islamico, cui hanno dato un rilevante contributo i pasdaran e le milizie sciite coordinate da Teheran, pongono ormai una severa ipoteca sulla politica irachena, già pesantemente condizionata dalla longa manus degli ayatollah. Al tassello iracheno si sta aggiungendo ora quello siriano, dove le forze iraniane spalleggiate dai governativi e da Hezbollah stanno tentando di espugnare le province orientali, a ridosso del confine con l’Iraq. Manovre che non passano inosservate a Washington, impegnata in questo momento a sostenere le Forze democratiche siriane nell’assalto alla roccaforte jihadista di Raqqa e intenzionata a prolungare l’offensiva nelle stesse aree in cui si registra l’avanzata delle forze sciite. Il contatto tra le due formazioni sarà inevitabile, se gli Stati Uniti decideranno di proseguire l’offensiva, e annuncia inevitabili scintille, come già successo con l’abbattimento da parte degli Usa di un caccia siriano e di due droni iraniani il mese scorso.
Ad osservare con inquietudine questi sviluppi sono anzitutto le potenze del Golfo e Israele. Le prime sono tutt’altro che accomodanti alla prospettiva di un Iran egemone a nord, come dimostra l’irrisolta crisi con il Qatar, accusato, tra le altre cose, di nutrire relazioni sin troppo strette con Teheran. Dal canto suo, Israele considera a ragione una minaccia esistenziale il predominio iraniano e di Hezbollah nelle province della Siria vicine al suo confine. Per questo motivo, Gerusalemme osteggia l’intesa russo-americana che ha portato alla creazione di una “deconfliction zone” nelle province siriane intorno a Damasco, generando un motivo di frizione con l’alleato Usa.
Quest’ultimo, in ogni caso, non pare intenzionato a concedere ulteriori spazi di manovra all’Iran, che è tornato a essere considerato potenza ostile dopo la pausa obamiana. L’amministrazione Trump ha sin dalle prime battute annunciato la svolta rispetto alla politica iraniana di chi l’ha preceduta, e ha ribadito in più occasioni il più completo allineamento con le posizioni anti-iraniane dei Paesi del Golfo.
Tutto lascia intendere dunque che i mesi prossimi venturi del Medio Oriente saranno roventi, e che ci saranno grandi manovre per ostacolare il grande gioco iraniano.