La fine del sogno multiculturale britannico è scoccata ieri poco dopo la mezzanotte, quando un furgone guidato da un inglese autoctono si è diretto, schiacciandoli, su alcuni musulmani appena usciti dalla preghiera notturna dalla moschea di Finsbury Park, nel nord di Londra. L’attacco, su cui ancora si sta indagando, ha provocato la morte di un fedele e il ferimento di altre otto persone, tutte travolte dal van che alla velocità di cinquanta chilometri l’ora è salito sul marciapiede di Seven Sisters Road, nei pressi della Muslim Welfare House che sorge a pochi passi da una delle più famigerate moschee del Regno.
L’uomo, di cui ancora non si conoscono le generalità ma che dovrebbe avere una cinquantina d’anni, dopo aver commesso il fatto è sceso dal mezzo urlando “voglio uccidere tutti i musulmani”, secondo il racconto di un testimone, ed è stato prontamente immobilizzato dai presenti, che l’hanno tenuto in consegna fino all’arrivo della polizia.
Inutile nasconderselo: per le modalità in cui è avvenuto, del tutto simile ai recenti attentati dello Stato islamico in Gran Bretagna e in altre capitali europee, appare come una rappresaglia bella e buona contro una comunità, quella dei musulmani, percepita sempre più come ostile e non integrata. Una vendetta ad armi pari contro un gruppo religioso che, secondo il modello multiculturale britannico, avrebbe potuto e dovuto convivere pacificamente fianco a fianco con gli altri membri della società pur conservando la propria identità e i propri costumi.
Un modello, quello del multiculturalismo, celebrato da intellettuali di ogni risma come fautore di pace sociale, di giustizia e uguaglianza. Ma che da qualche anno a questa parte, soprattutto con l’ascesa del jihadismo, è divenuto oggetto di accese contestazioni. Secondo il multiculturalismo, le comunità etniche e religiose che risiedono nel paese possono convivere con noi conservando i propri tratti culturali, senza rinunciare cioè alla propria identità. Un evidente incoraggiamento a non integrarsi, a non fare proprio in altre parole il modello culturale del paese di accoglienza, di cui ad approfittare sono stati gruppi e individui radicali che hanno ben pensato di approfittare di tanta tolleranza per operare una predicazione fondamentalista, fomentando l’odio contro l’Occidente e vaneggiando di una superiorità dell’homo islamicus. Da questo clima sono scaturiti i mostri che in questi ultimi anni stanno insanguinando i nostri paesi a colpi di attentati. Individui che hanno approfittato della benevolenza del paese di accoglienza, di cui la Gran Bretagna è senz’altro la più generosa, per coltivare il settarismo e la volontà di abbattere quel sistema che li aveva accolti con tanta solerzia.
Se l’attacco di stanotte deve essere condannato senza mezzi termini, è inesorabile che da oggi debba scattare una profonda riflessione da parte nostra. Dobbiamo chiederci dove e come abbiamo sbagliato nel rapporto con gli immigrati, cui abbiamo schiuso le porte dei nostri Paesi concedendo pari diritti e doveri ricevendo in cambio, spesso e volentieri, disprezzo. Dio non voglia che l’episodio di ieri sia l’inizio di una guerra civile intraeuropea tra immigrati ed autoctoni; che il gesto folle dell’attentatore sia emulato altrove ed in altre occasioni. Dobbiamo solo sperare che si tratti di un atto isolato da parte di uno squilibrato che, come molti tra noi, non è riuscito a distinguere tra islam moderato e radicale, tra immigrati che vivono da bravi cittadini e mascalzoni che approfittano della nostra tolleranza per coltivare odio e rabbia nei nostri confronti e nei confronti della nostra civiltà.