Donald Trump affida al Financial Times il messaggio per la dirigenza cinese alla vigilia del summit col presidente Xi Jinping in programma il 6 e 7 aprile al resort di Mar-a-Lago: “Se la Cina non risolverà il problema, lo faremo noi”.
Il problema si chiama Kim Jong Un, il leader della Corea del Nord che si prepara ad un nuovo, minaccioso test nucleare, dopo gli inquietanti lanci di missili balistici che, l’ultima volta, sono finiti a 300 chilometri dalle coste giapponesi. Gli Stati Uniti sono convinti che il “rogue State” per antonomasia rappresenti la minaccia strategica numero uno, come Barack Obama aveva detto a Trump durante la transizione tra le due amministrazioni.
Washington sta rivedendo tutte le opzioni a sua disposizione per affrontare il “problema”, e non esclude nemmeno l’ipotesi estrema di un attacco preventivo mirato alle installazioni nucleari e missilistiche della Nord Corea. Era questo che il segretario di Stato Rex Tillerson aveva annunciato nel suo viaggio in Asia di quindici giorni fa, quando dichiarò che “tutte le opzioni sono sul tavolo”.
Ma l’opzione più credibile, visto che una guerra avrebbe conseguenze devastanti per gli alleati di Corea del Sud e Giappone, rimane quella dell’isolamento della Corea del Nord e del rafforzamento delle sanzioni. Che potrebbero funzionare se solo la Cina le applicasse in toto. Invece, Pechino continua a tenere in vita il regime di Pyongyang, convinta che una sua caduta a seguito delle pressioni internazionali sia un’eventualità più temibile rispetto all’aver ai propri confini una potenza armata fino ai denti e con una postura aggressiva nei confronti del mondo. Di qui, dunque, il messaggio di Trump alla Cina. Esortata a collaborare con gli Stati Uniti su questo dossier spinoso.
In cambio, Washington può offrire molto. Può, anzitutto, mollare la presa su una questione assai cruciale per Pechino: il commercio. Trump ha più volte sottolineato il suo scontento per gli squilibri nelle relazioni economiche tra le due superpotenze. Lo ha ribadito anche nel colloquio con il Financial Times. “Noi non possiamo continuare ad avere accordi così squilibrati. (…) Sappiamo di che cosa stiamo parlando quando ci riferiamo anche delle manovre monetarie, alla svalutazione: loro sono campioni del mondo in questo”.
Moderare le sue pulsioni protezionistiche è ciò che The Donald potrebbe prospettare a Xi in cambio di un atteggiamento più cooperativo sulla Corea del Nord. Certo, fare qualcosa per il deficit commerciale di 347 miliardi di dollari sembrerebbe rappresentare una priorità di ordine superiore per un presidente che nell’economia sta giocando tutte le sue carte. Difficilmente, però, Pechino farà arretramenti sul piano commerciale, che anche per il Dragone rappresenta un’esigenza esistenziale.
Il vertice di Mar-a-Lago, il primo tra i due leader, rimane dunque un’incognita. Che Trump affronterà facendo aggio sulle sue doti di negoziatore e artista del “deal”. Anche se un accordo con la Cina, sulla Corea come sugli altri dossier comuni ai due paesi, si rivelerà una fatica di Sisifo anche per il tycoon newyorchese.