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Stati Uniti in ritirata contro Huawei

Pubblicato il 08/05/2020 - Start Magazine

Le nuove mosse a sorpresa del Dipartimento del Commercio Usa che allenterebbero il bando contro Huawei. L’articolo di Marco Orioles

L’affermazione apparsa poche ore fa in un commento a firma Tom Fowdy su un organo di informazione cinese molto attivo in Occidente come CGTN la dice lunga su come Pechino abbia vissuto la rivelazione esclusiva fatta l’altro ieri da Reuters.

Attraverso due fonti al corrente delle sue deliberazioni interne, l’agenzia di stampa britannica è venuta a sapere che il Dipartimento del Commercio Usa – quello che giusto un anno fa piazzò Huawei nella sua entity list precludendole ogni collaborazione con le aziende hi tech a stelle e strisce – sta per scrivere una nuova “rule” che annullerebbe il bando al colosso di Shenzhen rendendo dunque possibile quel che fino a pochi mesi fa sarebbe stato considerato fantascienza: permettere agli ingegneri e tecnici Huawei di cooperare con quelli americani (e viceversa) nella definizione degli standard del nuovo 5G.

Prima di cantare vittoria, naturalmente, ad Huawei converrà attendere l’effettiva approvazione della norma da parte del Dipartimento e, soprattutto, che nessun’altra agenzia federale – e, quindi, anche i vertici governativi, Casa Bianca in primis – si opponga ad un passaggio che richiederà del tempo prima di arrivare al capolinea.

Ma i segnali sembrano andare tutti in quella direzione. Lo confermano, tra le altre cose, le anonime dichiarazioni fatte sempre a Reuters da un “senior official” del Dipartimento di Stato – quello guidato dal falco cinese per eccellenza e volto più in vista della campagna Usa contro Huawei, ossia Mike Pompeo – per il quale il suo ministero è pronto a “sostenere la ricerca di una soluzione” al problema di Huawei negli Usa.

Ma qualcosa più di un messaggio nella bottiglia è anche quello che sei senatori Usa, tre dei quali noti per posizioni anti-cinesi anche estreme (Marco Rubio, Tom Cotton e James Inhofe), hanno indirizzato per posta ai Segretari al Commercio, alla Difesa ed all’Energia esortandoli ad emanare norme che vanificassero il bando dell’anno scorso permettendo così alle aziende Usa di cooperare con quelle bandite in una fase delicata dello sviluppo del 5G qual è la definizione dei suoi standard.

“Siamo profondamente preoccupati”, hanno scritto i sei senatori, delle conseguenze che quel bando, e la conseguente “ridotta partecipazione” degli Usa al lavoro di definizione degli standard del 5G, possa avere sulla “leadership globale Usa nella tecnologia wireless”

Questo peraltro è il medesimo concetto sottolineato da un altro “senior administration official” sentito da Reuters, per il quale la “definizione degli standard internazionali” è un passaggio chiave “dello sviluppo del 5G” dal quale gli Usa rischiavano di rimanere tagliati fuori a causa dell’ossessione trumpiana sui rischi posti da attori come Huawei e Zte alla sicurezza nazionale.

È dunque un bagno al tempo stesso di realtà e umiltà quello che si accingerebbero a fare gli Usa – il condizionale è d’obbligo – ammettendo che le proprie aziende  e i relativi tecnici ed ingegneri sono state le prime vittime di un provvedimento, quello del maggio dell’anno scorso, che impedendo loro ogni interazione con gli avversari cinesi li ha di fatto tagliati fuori da un momento cruciale come lo sviluppo dei protocolli e delle specifiche tecniche della rete mobile di quinta generazione.

Il problema, per gli Usa, è che le occasioni perdute in questi dodici mesi di stop forzoso potrebbero non essere recuperati mai più, visto che Huawei  – come ha certificato una recente ricerca di Strategy Analytics – ha approfittato di questo lungo periodo il principale contributore degli standard 3GPP per il 5G.

Un anno, dunque, in cui molte aziende e consorzi Usa leader del settore – dalla IEEE, alla Wi-Fi Alliance alla SD association – avendo avuto le mani legate hanno accumulato un notevole svantaggio rispetto alla concorrenza.

Oltre ad essere insostenibile, la situazione rischiava addirittura di aggravarsi per un motivo molto semplice illustrato a Reuters da Naomi Wilson, direttrice per l’Asia dell’Information Technology Industry Council (ITI): la volontà manifestata da alcune aziende Usa  di espatriare pur di non essere più vincolate dal bando del Dipartimento del Commercio.

Un passo che è stato già compiuto, segnala la stessa Wilson, da RISC-V Foundation, produttrice per il Pentagono di preziosi semiconduttori che pochi mesi fa ha trasferito i propri stabilimenti dal Delaware alla Svizzera al fine di garantirsi la collaborazione di aziende straniere nello sviluppo della sua tecnologia open-source.

Per quanto, prima di saltare a conclusioni, sia prudente aspettare l’approvazione definitiva della norma da parte del Dipartimento del Commercio, e soprattutto l’assenza di reazioni uguali e contrarie da parte di altri ambienti del governo federale, quel che è successo ieri negli Usa ha comunque del clamoroso, essendo fresca in tutti noi la memoria dei numerosi e gravi episodi che hanno scandito una guerra – quella tra l’America trumpiana e l’azienda simbolo della volontà cinese di effettuare il gran sorpasso nei confronti del rivale Usa – che pareva destinata ad ulteriori sconquassi.

E se il destino sarà proprio questo, risulterà difficile smentire l’editorialista di CGTN quando, a lancio Reuters ancora fresco, vergava l’elogio funebre della crociata trumpiana contro Huawei e, infierendo contro Washington, sottolineava come “avendo fallito di mettere (Huawei) al bando in giro per il mondo (…) debba ora rassegnarsi al fatto che l’azienda dominerà gli standard mondiali (del 5G) e (l’America) sarà perciò costretta prima a lavorare con essa e poi a competervi”.

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