Che cosa succede negli Stati Uniti sulla pandemia da Covid-19: i timori di Fauci, le rassicurazioni di Trump, la ricerca del vaccino (in prima fila la società biotech Moderna) e le parole dell’ambasciatore cinese sugli aiuti anche di Huawei all’America
Nonostante Donald Trump veda “la luce in fondo al tunnel” dell’emergenza Covid-19, è davvero difficile essere ottimisti in questo momento in un Paese dove i decessi sono raddoppiati in appena cinque giorni, passando da cinque a diecimila, e i contagi hanno superato quota 365 mila, rendendo la Land of the Free, Home of the Brave il lazzaretto del mondo.
Eppure ragioni per essere fiduciosi ci sono. Nello Stato più colpito di tutti, New York, dove migliaia di persone combattono per la vita incollate ai respiratori e altre migliaia contraggono il Covid-19 ogni giorno, il numero di morti ha smesso di salire ed ha anzi invertito la rotta scendendo sotto le seicento unità al giorno (secondo il governatore Andrew M. Cuomo sono state esattamente 594 domenica e 599 ieri).
Per quanto sia appena iniziato e non consenta dunque di sbilanciarsi, il New York Times non può fare a meno di rilevare come questo trend promettente si stia manifestando anche nel vicino New Jersey, dove il numero di decessi è crollato ieri a 71 dopo aver toccato nei tre giorni precedenti numeri a tre cifre, nonché nel Connecticut, dove il numero di morti di ieri (17) non ha paragoni con quelli che si contavano appena la settimana scorsa.
Che la speranza sia l’ultima a morire, ma che non sia nemmeno il momento di richiamare in servizio la banda, lo confermano le riflessioni fatte ieri in conferenza stampa dal volto più noto della lotta al Covid-19 negli Usa: Anthony Fauci.
Per l’infettivologo che Trump ha voluto a capo degli scienziati della sua task force anti-Coronavirus, potremmo addirittura non tornare mai più alla normalità. Potremo tornare a “funzionare come società”, riaprendo timidamente le attività economiche, le scuole e i centri commerciali, “ma se si vuole tornare all’era pre-coronavirus, allora questo potrebbe non accadere mai nel senso che la minaccia rimarrà”.
Per Fauci, in poche parole, un ritorno alla normalità (“back to normal”) non sarà possibile “fino a quando non avremo una situazione in cui un’intera popolazione potrà essere protetta”. Ovviamente con un vaccino.
“Ultimately, the show stopper will obviously be a vaccine”.
Ecco dunque la luce in fondo al tunnel evocata dal presidente: sono i “dieci differenti agenti terapeutici” in fase di sperimentazione in questo momento e che a suo dire “appaiono incredibilmente efficaci”. Ma sono anche le 15 terapie che ospedali e cliniche di tutto il mondo stanno applicando in via sperimentale sui malati di Covid-19 e che, Trump dixit, “stanno avanzando rapidamente”.
Risuonano, nelle parole del capo della Casa Bianca, quelle pronunciate poche ore prima a Ginevra dal direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, per il quale la ricerca su vaccini e terapie anti-Coronavirus “ha accelerato ad una velocità incredibile”, come dimostrano i 70 Paesi che hanno aderito alla sperimentazione promossa dalla sua organizzazione e le “circa 20 istituzioni e aziende che stanno facendo a gara per sviluppare un vaccino”.
In America, la parola vaccino fa il paio con Moderna, l’azienda biotech che in stretto coordinamento con le agenzie sanitarie del governo federale ha cominciato già lo scorso 16 marzo i test sull’uomo di un potenziale vaccino contro il Covid-19.
Sforzi che sembrano andare nella direzione giusta, considerato che lo stesso Fauci pochi giorni fa ha dichiarato che la sperimentazione del vaccino sta proseguendo (“is on track”) ad una velocità tale da far prevedere che entro 12 o 18 mesi si arriverà all’ultima fase, quella della commercializzazione.
E se la ricerca medica significa in buona sostanza collaborazione, c’è davvero da chiedersi se a questo punto gli Usa accetteranno la mano tesa dal loro rivale n. 1.
È infatti una proposta di collaborazione bella e buona – anche se non priva di una certa dose di perfidia – quella vergata dall’ambasciatore cinese negli Usa Cui Tiankai e pubblicata domenica sul New York Times.
Un editoriale che invita anzitutto il proprio interlocutore a lasciarsi alle spalle le polemiche (“unpleasant talk”) di queste ultime settimane a proposito del virus e di imboccare invece insieme la via della “solidarietà, collaborazione e sostegno reciproco”.
Sono due le direzioni in cui Usa e Cina devono ora marciare all’unisono secondo il diplomatico: “guidare” anzitutto “gli sforzi internazionali nella ricerca collaborativa su terapie e vaccini, esplorando e condividendo tra le nazioni le tecnologie farmaceutiche”, e “potenziare” poi “il nostro coordinamento delle politiche macroeconomiche per stabilizzare i mercati”.
È dunque né più e né meno che un direttorio quello che Cui immagina per le due superpotenze rivali che, sotterrando l’ascia di guerra, sono chiamate a prendere decisioni di comune accordo per il bene delle loro popolazioni e del mondo intero.
Ma ad un’amministrazione Trump che tutto farà fuorché rispondere positivamente e a stretto giro di posta, l’ambasciatore ha fornito anche un grazioso promemoria che dice più o meno che se l’America non ci sta, Pechino la aiuterà lo stesso.
La Cina infatti, scrive Cui, “sta facendo tutto quanto le è possibile per supportare gli Usa (…) In totale, le aziende cinesi hanno donato agli Usa 1,5 milioni di mascherine, 200 mila kit per i test, 180 mila guanti e molto altro materiale medico”.
“Nel weekend – prosegue la litania dell’ambasciatore – il governatore di New York Andrew Cuomo ha espresso il suo apprezzamento alla Fondazione Joseph e Clara Tsai per aver donato mille respiratori a NY e alla Fondazione Jack Ma per aver fornito maschere e occhiali”
“Stiamo facilitando”, aggiunge poi Cui, “l’acquisto da parte del governo Usa di indumenti protettivi fabbricati in Cina. Le (nostre) industrie stanno lavorando a pieno regime per onorare gli ordinativi di materiale sanitario arrivati da New York e da altre parti d’America. (…) E le donazioni da parte del settore privato si stanno moltiplicando”.
La generosità dell’ex impero di mezzo è tale che persino l’azienda più impopolare di tutti negli Usa, vale a dire Huawei, si sarebbe unita – sempre stando al rappresentante cinese in America – all’elenco dei donatori di mascherine e altro materiale utile nella lotta al Covid-19.
E questo, più che un dettaglio, assomiglia molto all’intera storia di un rapporto – quello tra Usa e Cina – che il virus potrebbe anche riportare sui binari di una relazione normale.