Che cosa sta facendo la Cina con l’Intelligenza artificiale per fronteggiare il Coronavirus
Sarà l’AI a salvare l’umanità – e il popolo cinese in particolare – dall’ultimo morbo contagioso apparso sulla terra?
Se dobbiamo giudicare dall’approfondimento redatto per Al Jazeera da Shawn Yuan sui metodi con cui Pechino sta ora tentando di contenere l’epidemia da Covid-19, la risposta non può che essere “sì, ma”.
La lettura dell’articolo di Shawn dimostra anzitutto quanto sia conveniente per la Cina, in questo momento difficile, affidarsi ad un ausiliare infallibile come l’AI, con la sua capacità di individuare nella montagna di Big Data il topolino infettato.
Il pezzo comincia, non a caso, con la storia di un addetto delle ferrovie della Stazione Est di Chengdou cui è stato messo a disposizione un comodissimo scanner termico implementato dall’AI con cui monitorare seduta stante e in modo asettico – altro che inserendo un termometro nelle orecchie! – la temperatura corporea dei passeggeri in transito.
“Questo rende la mia vita molto più semplice”, è stato il commento del ferroviere ai microfoni di Al Jazeera.
Nulla da dire, fin qui, a parte il consueto elogio della tecnica affiancato magari dall’ammirazione per un Paese che ha fatto passi da gigante proprio in questo campo e può ora fare tesoro di cotanti sforzi per mostrare al mondo l’efficacia e l’efficienza del proprio modello.
Ma è proprio qui che cominciano i problemi, peraltro ben noti agli esperti del settore. Già, perché nella Repubblica Popolare le magnifiche sorti e progressive dell’AI sono inscindibilmente legate anche al cosiddettto real-name system: espressione anglosassone dietro cui si cela la più colossale violazione della privacy mai compiuta nella storia dell’umanità.
In Cina, vale la pena ricordarlo, oltre 1,3 miliardi di cittadini vivono inglobati in una sorta di distopia orwelliana in cui ogni banale spostamento o atto passibile di essere captato dai sistemi di AI – e dunque anche dai 200 milioni di telecamere di sorveglianza installate nel Panopticon mandarino – è informaticamente tracciato e attribuito all’identità del suo autore. Identità già memorizzata nei data base dei sistemi AI grazie all’obbligo imposto dal governo di fornire le proprie generalità a chiunque voglia anche solo prendere un treno o acquistare una Sim card.
Senza sapere questo, non si possono comprendere a fondo il significato, e le implicazioni, delle parole affidate ai reporter lo scorso 26 gennaio dal vice-direttore della Commissione Nazionale della Sanità cinese. L’abbinamento di “riconoscimento facciale e real-name system”, disse quel giorno Zeng Yixin, “ci aiuterà a individuare tutti coloro che siano stati potenzialmente esposti al (Corona)virus”.
A cosa hanno schiuso le porte le affermazioni di Zen, se non all’annuncio fatto il 7 febbraio da Megvii, azienda cinese specializzata in AI, di aver recepito l’input ed essere già al lavoro su un sistema che “integra l’identificazione del corpo, quella del viso e il dual-sensing delle telecamere a infrarosso (capaci di fare il loro lavoro) anche in pieno giorno”? Telecamere con le quali, ha spiegato Megvii, gli addetti delle stazioni e degli aeroporti saranno messi nelle condizioni di “identificare rapidamente le persone con un’elevata temperatura corporea” (febbre).
Prima di esultare per tutto ciò, sarà bene però prestare ascolto alla storia di Ren.
Questo ristoratore di Hubei – la metropoli cinese assurta alla notorietà universale per aver incubato il Coronavirus – ha raccontato ad Al Jazeera di come la polizia si sia presentata nella sua abitazione non appena abbia fatto ritorno, era lo scorso 23 gennaio, dalle vacanze prese per festeggiare il Capodanno.
A turbare Ren non è stato però l’ordine categorico – e quanto mai comprensibile – ricevuto dagli agenti di entrare in quarantena. È stata, invece, la richiesta degli stessi di fornire il proprio numero di telefono.
Telefono che ha prontamente squillato quando Ren, contravvenendo alle disposizioni ricevute, si è allontanato dal proprio domicilio per recarsi in una vicina azienda agricola e acquistare delle verdure da mettere a tavola per il pranzo di capodanno. E chi c’era, dall’altro capo del filo, se non la polizia imbestialita per la trasgressione nonché perentoria nell’ordinare al ristoratore di Hubei di rientrare immediatamente a casa?
Il mistero di quella telefonata non sfugge tuttavia al malcapitato, che ad Al Jazeera ha prontamente additato le quattro telecamere CCTV installate dal governo nei pressi della sua abitazione.
In questo approfondimento del network del Qatar che va catalogato entro il sempre più ricco genere letterario “la tecnologia salverà la nostra vita, rendendola un inferno”, c’è spazio per altre soluzioni alla cinese dell’emergenza da Covid-19.
Tra gli esempi fatti, spicca la mossa fatta da China Mobile, principale carrier telefonico delle Repubblica Popolare: sms e una app nuove di zecca che mettono i cittadini nelle condizioni di sapere se siano stati recentemente a stretto contatto con persone contagiate.
E come può funzionare una cosa del genere, se non grazie al fatto che l’abbinamento AI-real name system consente all’alchimista dei Big Data di comunicare al comune cittadino-suddito il fatto di aver viaggiato sullo stesso treno o aereo in cui erano presenti soggetti infettati dal Covid-19, e magari nel posto a fianco?
I benefici recati da una tecnica così accurata che promette percentuali di errore infinitesimali potranno apparire salvifici in un momento in cui la paura fa novanta in Cina e non solo.
Peccato che, nel pacchetto, era compresa fino a qualche giorno fa la pubblicazione degli sms di China Mobile sui quotidiani e sulle principali piattaforme social, ufficialmente con lo scopo di consentire alle persone di capire se abbiano avuto la sventura nei giorni precedenti di essere stati fisicamente prossimi ad un malato – e di decidere, conseguentemente, di mettersi in quarantena.
Vedere spiattellati in pubblica piazza i propri spostamenti dettagliati sin quasi al millimetro non dev’essere però un bello spettacolo.
Ma siccome anche in Cina hanno una coscienza, ecco sbucare fortunatamente la app “Close Contact Detector” da poco sviluppata dal governo. Una app che, scannerizzando un QR code, ti rivela seduta stante se hai viaggiato con un malato.
È il progresso, bellezza, e parla (purtroppo) anche in mandarino.