“Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”, Se l’attore americano John Belushi fosse ancora tra noi, riciclerebbe senz’altro la sua leggendaria battuta del cult-movie “The Blues Brothers” per fotografare il comportamento cinese nel caso Huawei. Ieri i media internazionali hanno battuto la notizia dell’arresto in Cina di un ex diplomatico canadese, Michael John Kovrig, che lavora per l’International Crisis Group (ICG), organizzazione non governativa che si occupa di risoluzione dei conflitti. E l’inchiostro non si era ancora asciugato che nella notte di ieri si diffondeva la notizia dell’arresto di un secondo cittadino canadese, Michael Spavor.
Una semplice coincidenza con l’arresto, a Vancouver, della numero 2 di Huawei Meng Wanzhou? “In Cina non ci sono coincidenze”, ha commentato a caldo Guy Saint-Jacques, ex ambasciatore canadese in Cina. “Se vogliono mandarti un messaggio”, ha spiegato Saint-Jacques, “ti manderanno un messaggio”. “Questo è un rapimento politico”, osserva senza troppi giri di parole un diplomatico occidentale.
Siamo a quanto pare di fronte all’attesa rappresaglia cinese per il provvedimento che la giustizia canadese, su richiesta di quella americana, ha preso nei confronti di Meng, accusata di aver violato l’embargo Usa nei confronti dell’Iran. Un atto di rivalsa che era nell’aria da giorni, sin da quando il vice-ministro degli esteri di Pechino, nella prima dichiarazione ufficiale del governo cinese dal deflagrare del caso Huawei, aveva minacciato “serie conseguenze” nei confronti del Canada qualora non avesse liberato immediatamente Meng.
Nonostante Meng sia stata liberata su cauzione, Pechino ha pensato bene di tutelare i suoi interessi prendendo non uno, ma due ostaggi. Che rischiano grosso. Come ha rivelato il quotidiano statale Beijing News, Kovrig è oggetto di un’indagine del Bureau per la Sicurezza dello Stato di Pechino, organismo che si occupa di controspionaggio. L’accusa mossa nei suoi confronti è “aver condotto attività che danneggiano la sicurezza di stato della Cina”. Diplomatici cinesi sentiti da Reuters affermano che Kovrig potrebbe rispondere dell’accusa di spionaggio.
Interpellato dai media, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lu Kang, non ha aggiunto ulteriori dettagli. Ma ha chiarito i contorni della vicenda, spiegando che Kovrig potrebbe aver violato la legge sulle Ong straniere voluta dal presidente Xi Jinping. Una legge che, oltre a obbligare le Ong a iscriversi in un apposito registro, proibisce loro di svolgere attività che possano danneggiare “l’unità nazionale, la sicurezza e l’unità etnica della Cina (e) danneggiare gli interessi nazionali e l’interesse sociale pubblico della Cina”. Secondo Lu, l’ICG non è registrata e questo “significa già essere fuori dalla legge e violarla”.
Per il presidente di ICG, Robert Malley, quelle cinesi sono però illazioni. “Non voglio fare speculazioni su cosa ci sia dietro”, ha spiegato, “e sono pronto ad essere categorico su ciò che non c’è dietro, e ciò che non c’è dietro è qualsiasi tipo di attività illegale o il mettere a repentaglio la sicurezza nazionale cinese”. “Tutto quello che facciamo”, ha aggiunto, “è trasparente ed è nel nostro sito. Non svolgiamo lavori segreti, confidenziali”. Il direttore delle comunicazioni di ICG, Hugh Pope, ha osservato che Kovrig visita regolarmente Pechino per “incontrare funzionari, partecipare a congressi su invito di organizzazioni cinesi, e per compiere visite personali”. Nulla di sospetto, insomma, e tanto meno clandestino.
Lancia l’allarme William Nee, ricercatore dell’ufficio regionale dell’Asia Orientale di Amnesty International, che sottolinea come l’arresto di Kovrig segni la prima volta in cui la draconiana legge sulle Ong sia stata applicata. Con conseguenze quanto mai prevedibili. “Dobbiamo aspettare la spiegazione ufficiale da parte cinese”, osserva Nee, “ma questa detenzione potrebbe avere un effetto agghiacciante sulle Ong straniere e sulle comunità d’affari per quanto concerne il loro sentirsi al sicuro quando viaggiano in Cina”.
Tale “effetto agghiacciante”, ovviamente, è proprio ciò che Pechino voleva. Si risponde con il terrore alla grave mossa di America e Canada, che hanno voluto umiliare e intimidire il colosso delle telecomunicazioni cinesi portando alla sbarra il suo numero 2. E potrebbe non essere finita qui, come dimostra l’arresto del secondo cittadino canadese.
Anche a Michael Spavor sono contestate “attività che mettono a rischio la sicurezza nazionale della Cina”. A muoverle, nel suo caso, è il Bureau per la Sicurezza di Stato di Dandong, città nel nordest della Cina. Per lui si profila, di nuovo, il reato di spionaggio. Un’accusa che va a colpire un uomo che, in qualità di fondatore del Paektu Cultural Exchange, facilita i viaggi di personalità in Corea del Nord. Ci sono i buoni uffici di Spavor dietro le visite a Pyongyang di Dennis Rodman, il campione dell’NBA che ha intrecciato un rapporto personale con Kim Jong-un.
Spavor è stato arrestato mentre transitava in un aeroporto cinese. Avrebbe fatto in tempo ad avvisare le autorità consolari, prima di scomparire. “Non siamo stati in grado di metterci in contatto con lui”, ha spiegato il ministro degli esteri canadese, Chrystia Freeland. “Stiamo lavorando duramente per scoprire dove si trovi”, ha precisato, “e abbiamo sollevato il caso con le autorità cinesi”.
Era, probabilmente, solo questione di tempo prima che la Cina prendesse le sue contromisure. Lo ha fatto nel modo che le è caratteristico: arrestando due cittadini di un Paese che ha osato privare della libertà la Sheryl Sandberg cinese, colei che ha contribuito – con comportamenti che gli Stati Uniti ritengono illeciti – a rendere grande Huawei permettendole di conquistare una posizione dominante nel mercato delle tlc.
In Cina non esistono coincidenze, dice l’ex ambasciatore canadese. Appare più che un caso, dunque, che all’accusa mossa dagli Usa a Huawei di perpetrare uno spionaggio informatico di massa, la Cina risponda accusando di spionaggio cittadini di un paese alleato dell’America. Dietro questo intrigo, si staglia la sfida all’ultimo chip per la supremazia tecnologica: uno dei terreni in cui si gioca la competizione tra la superpotenza a stelle e strisce e il Dragone. Un gioco che si fa duro.
Marco Orioles