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Ecco la vera posta in palio nella guerra Usa-Cina su 5G, Huawei e commercio. Parla Sisci

Pubblicato il 23/01/2019 - Start Magazine

Il caso Huawei si allarga a macchia d’olio, e spinge gli osservatori a chiedersi se le manovre con cui gli Stati Uniti tentano di contrastare la penetrazione della tecnologia cinese in Occidente non siano il preludio ad un conflitto a tutto campo tra Cina e Usa la cui posta in palio è il controllo di un settore nevralgico dell’economia mondiale. Uno scenario, quello della guerra fredda tecnologica tra le due superpotenze, che non esclude colpi bassi, come è stato senz’altro l’arresto a Vancouver della direttrice finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, su cui pende un mandato di estradizione in America.

Nella sua volontà di ridefinire i termini della competizione con la Cina, e possibilmente di vincerla, gli Stati Uniti cercano inoltre il sostegno di alleati e partner. Washington sta esercitando una forte pressione su di loro affinché escludano Huawei e l’altro gigante cinese delle tlc, Zte, dallo sviluppo delle infrastrutture nazionali del 5G. Pressione cui si sono adeguati paesi come Australia e Nuova Zelanda, che hanno introdotto un bando ad Huawei, e a cui sta per cedere anche un pezzo di Europa, dove paesi come Germania, Belgio, Norvegia stanno valutando analoghi provvedimenti restrittivi. La sfida degli Usa alla Cina sempre più ha proiezione e ripercussioni globali.

Per comprendere a pieno la portata e la complessità di questo grande gioco, ed entrare nel merito dei suoi sviluppi più recenti, Start Magazine si è rivolto ad uno dei massimi sinologi, Francesco Sisci. Che avevamo consultato già all’inizio di dicembre, poco dopo l’arresto di Meng. In questo nuovo colloquio, cerchiamo di approfondire la sfida tecnologica sino-americana e i suoi riflessi sugli equilibri geopolitici.

Sisci, la Cina ha reagito duramente all’arresto di Meng. Lo dimostra chiaramente la crisi con il Canada, acuitasi con l’arresto – in una chiara rappresaglia – di due cittadini canadesi per presunte minacce alla sicurezza nazionale e la condanna a morte di un terzo cittadino canadese per reati di droga. Si immaginava che Pechino si sarebbe spinta sino a tanto?

All’inizio onestamente no. Io credo che la Cina si trovi in un terreno nuovo, nel quale però si sta comportando in maniera vecchia, reagendo colpo su colpo. Una logica che tuttavia non funziona, come dimostrano le notizie di queste ore: l’America presenterà domanda di estradizione al Canada per Meng e Ottawa ha fatto sapere che la concederà. Quindi la reazione cinese non ha migliorato la situazione, anzi. Adesso i cinesi devono fare i conti peraltro con una pessima novità: tutta una serie di loro capi azienda sono a rischio. Parliamo di persone che sono nella lista nera americana per vari motivi, tra cui il furto di tecnologia. Ora per queste persone viaggiare all’estero significa rischiare grosso. La Cina si sta quindi trovando in un terreno nuovo e non sa bene come comportarsi.

Intanto il caso Huawei si allarga. Risalgono alla settimana scorsa le rivelazioni di stampa secondo cui anche il governo tedesco si accinge a introdurre restrizioni nei confronti di Huawei. In prospettiva, secondo lei, l’Occidente si compatterà sulle posizioni anti-cinesi degli Stati Uniti? E quali contromisure metterà in campo la Cina per contrastare tutto ciò?

La prima reazione d’istinto della Cina, come abbiamo detto, è stata di rispondere colpo su colpo. Un comportamento che ha spinto però il Canada a compattarsi sulla posizione degli Stati Uniti. E ha anche eliminato i dubbi residui degli Stati Uniti, che all’inizio erano divisi sull’opportunità dell’arresto di Meng. Le mosse cinesi li hanno convinti ancora di più di essere nel giusto. Per quanto concerne il problema di Huawei e più in generale della tecnologia cinese, bisogna dire che c’è ormai un’ombra su tutta la tecnologia cinese, su cui gravano vari sospetti, fondati o meno che siano.

In che senso?

Per quanto concerne la minaccia cinese di sviluppare, in caso di esclusione da parte dell’Occidente, una propria tecnologia alternativa e indipendente sul 5G, bisogna dire che fa solo relativamente paura all’Occidente: lo convince semmai ancor di più a sostenere che la Cina è una minaccia che va affrontata di petto, in modo muscolare, escludendo non solo Huawei ma tanti altri player cinesi dai propri mercati. Il problema dei problemi per la Cina mi sembra dunque il fatto che, lungi dal dividere il fronte anti-cinese con le sue reazioni di forza, lo sta ricompattando. Ecco perché la Cina deve cominciare a pensare complessivamente a cosa fare.

Il fondatore di Huawei, Ren Zhengfei, è uscito allo scoperto e, nel giro di pochi giorni, ha rilasciato più interviste alla stampa di quante ne avesse concesso in trent’anni di parabola della sua azienda. È un segno palese di difficoltà, o l’indice del profilarsi di una controffensiva con cui il gigante cinese intende rilanciare la propria sfida tecnologica?

Credo che siano vere entrambe le cose. Certamente è positivo che lui parli, ma il problema è che lo fa con trent’anni di ritardo. Lui avrebbe dovuto fare queste interviste e parlare con toni concilianti molto prima. I contatti con la stampa non avrebbero dovuto essere una cura ex post, ma una cura preventiva, una specie di vaccino. Fatti oggi, diventano meno efficaci. Oltretutto, certe dichiarazioni, come quelle sulla volontà di sviluppare una propria tecnologia indipendente da quella occidentale, mi pare proprio che gettino benzina sul fuoco.

Il 5G, che per la Cina doveva rappresentare l’opportunità di affermare nel mondo la propria leadership tecnologica, si sta rivelando una partita più complessa del previsto. Una gara che potrebbe terminare con la divisione del mondo in sfere digitali diverse e distinte, l’una dominata dalla tecnologia occidentale, l’altra inserita nell’orbita cinese. Quanto è probabile questo scenario?

Il 5G è parte di una sfida complessiva tra Cina e Occidente in cui ha fatto irruzione, in modo prepotente, la guerra commerciale con gli Stati Uniti. Oggi la Cina è chiamata a rispondere di varie accuse che vanno dal furto di tecnologie, alla questione del sostegno pubblico alle aziende statali, al deficit commerciale con gli Usa. In questa partita si inserisce anche la questione di uno standard tecnologico per il 5G. La Cina vorrebbe imporre il proprio e l’America il suo. Ora, non è importante vedere se lo standard cinese sia migliore o peggiore di quello americano: quello che si sta vedendo con chiarezza è che il mercato occidentale, e probabilmente quello di tanta parte del resto del mondo, si chiuderà allo standard cinese. E la Cina rimarrà isolata. Si creerà una sorta di muraglia che dividerà la Cina dal resto del mondo. Questa è una delle linee di tendenza che si possono vedere.

Ma qual è il vero obiettivo della Cina?

Pechino vuole avere un proprio ambiente internet che non sia completamente isolato dal resto del mondo ma abbia delle porte che si aprono e chiudono a comando. Ora, se il resto del mondo metterà a sua volta dei ponti levatoi, come sta facendo con Huawei, si creerà di fatto una doppia dogana. Che svantaggerà la Cina, che a quel punto sarà costretta a contrattare con gli altri la possibilità di accedere alla loro sfera digitale. La muraglia cinese che doveva tenere gli stranieri fuori rischia di diventare un recinto che tiene i cinesi dentro: sono due cose diverse, e la seconda è ovviamente più pericolosa e minacciosa per un paese come la Cina che dipende fortemente dal commercio estero, che rappresenta il 50% del pil cinese.

A Pechino due settimane fa si è tenuto il primo round del negoziato commerciale Usa-Cina da quando Xi e Trump hanno concordato una tregua alla guerra dei dazi. A che punto sono le trattative?

Si continua a parlare, e finché lo si fa c’è motivo di speranza. Ma credo che un accordo complessivo sia improbabile. Anche perché abbiamo da un lato un paese, la Cina, che non ha realizzato a pieno cosa stia succedendo intorno a lei, e dall’altro lato c’è la macchina americana che procede ormai a trazione autonoma. Arrestare questo motore di contrasto della Cina non sarà facilissimo.

L’1 marzo, la deadline fissata da Trump per il negoziato commerciale, è vicino, e molti dubitano che Cina e Stati Uniti avranno a quel punto siglato un’intesa. E lei?

Io non escludo che alla fine per quella data si raggiunga un compromesso. Qualcosa che aiuti sia Trump che Xi a rinviare di qualche mese i termini, trovando una soluzione transitoria su questioni relativamente minori.

È di venerdì la notizia di un secondo summit Trump-Kim a fine febbraio, dopo l’accelerazione diplomatica messa in moto dal discorso di capodanno in cui Kim si era detto pronto ad incontrare il presidente Usa “in qualsiasi momento”. All’inizio dell’anno, Kim si è anche recato a Pechino presumibilmente per coordinarsi con Xi Jinping. Che ruolo intende svolgere la Cina nella crisi nucleare Usa-Corea del Nord? Crede anche lei che Xi possa usare la leva su Pyongyang per strappare concessioni agli Usa nel negoziato sui commerci?

Penso che si tratti di vicende separate. Certo, se non si trovasse nessun accordo con la Corea del Nord, si getterebbe senz’altro un secchio di acqua gelata sul negoziato commerciale. Ma bisogna anche dire, viceversa, che un accordo con la Nord Corea non comporterebbe automaticamente un aiuto per la Cina nel negoziato con l’America. Detto ciò, c’è ragione di essere ottimisti almeno su questo fronte perché trapelano notizie che dicono che si possono fare passi in avanti nel disarmo e nello smantellamento dell’arsenale nucleare della Corea del Nord. Certamente la Cina è parte di questo accordo, e Trump non potrà non tenerne conto.

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