Quello in Venezuela è un “sano colpo di Stato”. Ovvero un “intervento di bonifica” orchestrato dall’America e reso possibile dal capovolgimento politico in Brasile, dove il neo-presidente Jair Bolsonaro si è messo d’accordo con Trump per risolvere finalmente l’impasse venezuelana e rimuovere dal potere l’imbarazzante dittatore Nicolas Maduro. E l’Europa, che ha fornito un timido appoggio al presidente “incaricato” Juan Guaidó, farebbe bene a salutare con più trasporto questa svolta, o se non altro dovrebbe astenersi dall’inscenare proteste pacifiste qualora gli Usa schierassero i marines a Caracas. L’Italia soprattutto, avendo numerosi connazionali in Venezuela, deve guardare a questi sviluppi con sollievo, giacché ora si intravede la luce in fondo al tunnel di una crisi economica senza precedenti che ha provocato immani sofferenze, la fuga all’estero di tre milioni di venezuelani e la destabilizzazione di tutti i paesi vicini.
La pensa così Carlo Pelanda, analista e docente di geopolitica e geoeconomia che è abituato ad esaminare in modo schietto e disincantato i travagli e le turbolenze politiche del nostro pianeta. In questa intervista a Start Magazine, Pelanda snocciola una serie di considerazioni sugli eventi in Venezuela, ponendoli sullo sfondo dell’eterna esigenza degli Stati Uniti di esercitare un’egemonia sull’America Latina. Egemonia che, con l’avvento di Bolsonaro e del suo governo populista, ritorna prepotentemente in primo piano e pone una sfida ai paesi che non intendono allinearsi. Maduro, in questo senso, è un leader condannato dal pendolo di una storia che, ora, batte il tempo della riscossa americana.
Professor Pelanda, in Venezuela da mercoledì ci sono due presidenti, due parlamenti, due corti supreme. Cosa sta succedendo?
Succede che Bolsonaro e Trump si sono finalmente messi d’accordo per risolvere la crisi venezuelana. Mancava il Brasile prima. Ora che il Brasile e l’America sono convergenti si fa quel che bisognava fare anni fa, cioè un sano colpo di stato in Venezuela con il consenso del 90% del popolo.
Lei attribuisce dunque questi sviluppi al nuovo vento populista che spira nel mondo?
Non esageriamo. Finora la soluzione era stata rinviata perché il Brasile si metteva di traverso, e l’America non poteva intervenire, aiutando un suo uomo, senza il Brasile. L’America è stata prudente fino a poco tempo fa nonostante Trump sia un uomo piuttosto sportivo. Non voleva intraprendere un’azione da sola in Venezuela dove esiste ancora un forte bolivarismo nelle piccole regioni mesamericane e nei dintorni. C’era bisogno di un leader brasiliano che si svegliasse e dicesse che era ora di fare fuori Maduro e avere un Venezuela normale.
Maduro però ha affermato che “da qui non ci muoviamo perché siamo stati eletti dal popolo” e che “qui nessuno si arrende, qui andiamo a combattere”.
Per forza, Maduro sa che ora può fare la fine di Gheddafi e Saddam Hussein, sa che adesso muore. Quindi cercherà di combattere disperatamente ma solo per negoziare la sua uscita di scena, che è praticamente certa.
Russia e Cina tuttavia non hanno gradito e continuano a sostenere Maduro. Che gioco stanno facendo in Venezuela?
Maduro ha fatto accordi pesanti con la Cina, mentre la presenza russa non è mai mancata. Mosca e Pechino stanno facendo in Venezuela il consueto gioco delle grandi potenze, cercando di acquistare influenza da scambiare poi su altri tavoli. Ma è un gioco minore. Il fattore più importante, nella crisi venezuelana, è la posizione degli altri paesi sudamericani, dove si sono riversati milioni di profughi venezuelani in fuga dalla miseria. Il Venezuela sta di fatto destabilizzando questi Paesi.
Gli Usa non solo appoggiano Guaidó, ma minacciano di intervenire: si parla di blocco delle importazioni di petrolio dal Venezuela, o addirittura di un blocco navale. Cosa farà nel concreto l’America secondo lei?
È difficile dire nel concreto cosa faranno, però sicuramente faranno di tutto perché Maduro si tolga di mezzo. D’altra parte, il personaggio che si è autoproclamato presidente lo ha fatto avendo già ben chiaro il supporto che avrebbe avuto. E così è scattato il sostegno americano a questa nuova avventura.
Anche il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk ha espresso sostegno alle opposizioni democratiche venezuelane. Che peso può avere l’Europa in questa partita?
’importante è che l’Europa non rompa i c… Cioè, se si dovesse sparare a Caracas non deve fare discorsi vaghi di pacifismo o contro l’America. Certo, quello di Tusk appare proprio come un via libera all’America, qualora schierasse i marines. L’importante comunque è che l’Europa non crei problemi.
Che resterà del populismo sudamericano dopo l’uscita di scena di Maduro?
La malattia che io chiamo il bolivarismo degenerato ha ancora una certa presa nel continente. E poi ci sono molti paesi della regione che non sono molto contenti di vedere una convergenza tra Brasile e America. Non ci sono mai relazioni tranquille in America Latina. Esisterà sempre una forte componente populista in una zona ricchissima del pianeta che soffre di questo cancro che ha già distrutto intere nazioni, come l’Argentina con il peronismo. C’è però un altro fatto di cui tenere conto per capire cosa sta succedendo ora in America Latina.
Quale?
Nel processo di regionalizzazione del sistema globale, che ha portato alla formazione di blocchi rivali – Europa, Cina, blocco americano o anglofono – gli Stati Uniti hanno l’interesse a mantenere il controllo del Sudamerica. Da sempre c’è questa spinta, che si era interrotta durante la guerra fredda a causa della competizione con l’Unione Sovietica. Adesso questa spinta riprende ma non sotto la forma di colonizzazione bensì attraverso un accordo con i vari paesi della regione. Il Venezuela non faceva parte di questo quadro, e la posizione di Maduro era francamente insostenibile, essendo il Venezuela diventato sotto di lui una dittatura peggiore di quella cinese. Maduro è semplicemente indifendibile, e ora che il Brasile si è allineato a Washington il suo destino è segnato. Bisogna vedere ora se non l’ammazzano. E se la sua caduta non provocherà una guerriglia. È anche per questo motivo che l’America aveva ritardato ad intervenire. È interessante in questo senso la posizione del Messico, che non è favorevole ad un intervento americano in Venezuela perché ha paura che poi in caso di divergenze l’America intervenga anche in Messico con un cambio di regime. Però è una questione relativamente minore, per cui possiamo salutare in maniera positiva questo intervento di bonifica del Venezuela. Noi italiani in particolare dovremmo seguire con più partecipazione questi sviluppi perché abbiamo parecchi italiani in Venezuela, molti dei quali con diritto di voto in Italia.
Approfondimenti sulla crisi in Venezuela:
- Start Magazine: Venezuela, il suicidio economico, la sfida Guaidò-Maduro e il pugno di Trump
- Miami Herald: Venezuela now has two presidents. How long will the uncertainty last?
- CBC: Venezuela’s opposition leader takes oath as interim president, endorsed by Canada, U.S.
- New York Times: After U.S. Backs Juan Guaidó as Venezuela’s Leader, Maduro Cuts Ties
- Associated Press: Maduro foe’s next step awaited as power crisis deepens
- Reuters: Kremlin backs Venezuela’s Maduro, while West turns up heat
- CNN: ‘Pouring gas on fire’: Russia slams Trump’s stance in Venezuela
- Defense One: Is Trump Setting the Stage for a Military Intervention in Venezuela?