Il Taccuino Estero di Marco Orioles per Policy Maker
COME SI MUOVE TRUMP PER LA PRESIDENZA DELLA BANCA MONDIALE (IN LIZZA C’È ANCHE LA FIGLIA IVANKA)
Lunedì il presidente della World Bank, il coreano-americano Jim Yong Kim, ha annunciato le sue dimissioni, effettive a partire dal 1 febbraio. Nominato nel 2012 da Barack Obama, Kim lascia l’incarico con tre anni e mezzo di anticipo rispetto alla scadenza naturale del mandato. La sua uscita di scena sarebbe il frutto di un’intesa con Donald Trump: più fondi per la Banca (ma meno per la Cina) in cambio della nomina al vertice di un candidato più in sintonia con l’agenda del capo della Casa Bianca. Secondo il patto non scritto risalente ai tempi della nascita dell’istituzione finanziaria di Washington, spetta agli Stati Uniti indicare il presidente della Banca, mentre agli europei è riservata la direzione del Fondo Monetario Internazionale, attualmente guidato dalla francese Christine Lagarde. Nel fine settimana, il Financial Times ha rivelato la rosa dei possibili successori al vaglio del Dipartimento del Tesoro Usa: in lizza c’è anche la figlia e consigliere speciale di Trump, Ivanka. Che dovrà vedersela però con un nome di spicco come quello dell’ex ambasciatrice all’Onu, Nikki Haley. Nella short list figurano anche il sottosegretario al Tesoro David Malpass e il capo dell’agenzia per lo Sviluppo Internazionale (USAID) Mark Green.
Approfondisci:
- Associated Press: World Bank President Jim Yong Kim announces his departure
- Start Magazine: Tutti i progetti di Trump sulla Banca Mondiale (dopo aver silurato Jim Yong Kim)
- Financial Times: Why Jim Yong Kim’s move has shaken up the World Bank
- Start Magazine: Chi Trump vuole piazzare al vertice della Banca Mondiale
- The Guardian: ‘Ridiculous’: report Ivanka Trump could lead World Bank meets scorn
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AL VIA IL NEGOZIATO USA-CINA SUL COMMERCIO DOPO LA TREGUA ALLA GUERRA DEI DAZI CONCORDATA DA TRUMP E XI: PARTENZA IN SALITA
Si è aperto lunedì a Pechino il primo round del negoziato sino-americano sul commercio da quando i presidenti di Stati Uniti e Cina, a margine del G20 di Buenos Aires, hanno deciso un temporaneo stop alla guerra dei dazi. Tre giorni di confronto tra due delegazioni di vice-ministri e sottosegretari che si concludono con un magro risultato ma tante dichiarazioni di buona volontà. Donald Trump suona una nota di ottimismo dicendo che gli Usa stanno ottenendo un “successo tremendo” nei colloqui, mentre per il portavoce del ministero del commercio cinese, Gao Fang, le delegazioni si sono confrontate in modo “serio” e “onesto”, al punto di aver esteso gli incontri ad un terzo giorno fuori programma, cosa che mostra, secondo il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lu Kang, che “le due parti hanno condotto il confronto in modo davvero serio”. Sui punti più delicati, come il furto di proprietà intellettuale, i trasferimenti forzati di tecnologia, le cyberintrusioni e i sussidi statali ai campioni nazionali, le distanze rimangono però ancora ampie. Negli ambienti economici sono in molti a dubitare che Cina e Usa raggiungeranno un’intesa entro la deadline fissata da Trump al 1 marzo, dopo la quale scatterà l’aumento dei dazi su duecento miliardi di esportazioni cinesi dall’attuale livello del 10% al 25%. Salta l’opportunità di un confronto al vertice Usa-Cina nel contesto del World Economic Forum di Davos: Trump non ci sarà a causa del prolungamento dello shutdown. Per la prossima tappa del negoziato bilaterale si dovrà attendere la vista a Washington del vicepremier cinese Liu He.
Approfondisci:
- Start Magazine: Chi sono e cosa pensano i super trumpiani che negozieranno con la Cina sul commercio
- Start Magazine: Perché la tregua commerciale fra Usa e Cina è fragilina
- Associated Press: 5 things to know about US-Chinese trade negotiations
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ANCORA GUAI PER HUAWEI IN POLONIA E NORVEGIA
Nuove tegole su Huawei, sospettata dagli Stati Uniti e da vari alleati occidentali di essere il cavallo di Troia con cui Pechino potrebbe condurre una sofisticata opera di spionaggio. Arrestato, proprio con l’accusa di spionaggio, il direttore delle vendite per la Polonia, Stanislaw Wang. È la secondo grana giudiziaria per un alto esponente del colosso di Shenzen, dopo l’arresto in Canada a dicembre del CFO nonché figlia del fondatore, Meng “Sabrina” Wanzhou, su mandato della giustizia americana che la accusa di aver violato l’embargo Usa con l’Iran. Nel frattempo, un altro governo europeo potrebbe porsi sulla scia di Washington e bandire la tecnologia Huawei: il ministro della giustizia norvegese Mikkel Wara ha dichiarato che l’esecutivo di Oslo nutre “le stesse preoccupazioni degli Stati Uniti e della Gran Bretagna” circa la possibilità che la compagnia cinese conduca “spionaggio contro attori privati e statali”. A domanda diretta di Reuters, che ha chiesto al ministro se il governo stia vagliando provvedimenti mirati contro Huawei, Wara ha risposto affermativamente: “Sì, stiamo considerando gli stessi passi presi in altri paesi, vale a dire (…) i passi presi negli Stati Uniti e in Gran Bretagna”. La Norvegia si aggiunge a Germania, Francia e Belgio nell’elenco dei paesi che si stanno allineando a Washington e potrebbero escludere la tecnologia Huawei dallo sviluppo del 5G.
Approfondisci:
- Start Magazine: I nuovi guai di Huawei (in Polonia) lambiscono anche Orange
- Reuters: Norway considering whether to exclude Huawei from building 5G network
- Start Magazine: Tutti i nuovi guai (anche europei) di Huawei
- Start Magazine: Tutti i trambusti di Huawei anche in Germania, Francia, Gran Bretagna, Belgio e Norvegia