Il Taccuino estero a cura di Marco Orioles
Pompeo in Europa centrale per ammonire su Huawei
Il Segretario di Stato Mike Pompeo farà tappa questa settimana in tre paesi dell’Europa centrale – Polonia, Ungheria e Slovacchia – dove, secondo una fonte del governo americano sentita da Reuters, esprimerà la preoccupazione degli Usa su Huawei. Il capo della diplomazia Usa “solleciterà i leader regionali”, spiega la fonte, “a prestare ascolto agli avvertimenti dei paesi dell’Asia Pacifico che si sono trovati in serie difficoltà per aver lavorato con i cinesi in modo troppo ravvicinato”. In Ungheria, Pompeo farà sentire la propria voce sul “ruolo della Cina in Europa centrale” ed “esprimerà la nostra preoccupazione per la crescente presenza” dell’azienda cinese nel paese, dove Huawei Technologies ha in programma la costruzione di un grande centro logistico e pianifica un significativo aumento delle capacità di produzione. Huawei si è anche offerta di realizzare un centro per la cybersecurity in Polonia, dove il clima è tuttavia surriscaldato dopo l’arresto di un dipendente dell’azienda cinese accusato di spionaggio. Gli Stati Uniti, sottolinea la fonte, sono in apprensione per l’influenza di Huawei sulle piccole nazioni dell’Europa orientale e centrale dove è più facile, per la Cina, aprirsi un varco e penetrare i sistemi statali: la Cina avrebbe facile gioco a inserirsi in “paesi relativamente piccoli con una storia recente di comunismo (e) con una significativa presenza della corruzione”. Proseguono, intanto, i guai di Huawei nel resto del continente. Il quotidiano britannico The Sun ha riferito venerdì che nel Regno Unito è in preparazione una nuova legge sugli investimenti stranieri che avrà l’effetto di bloccare la partecipazione del colosso di Shenzhen in progetti tecnologici “strategici”. Nel frattempo, la cancelliera Angela Merkel ha spiegato giovedì dal Giappone che la Germania pretende specifiche garanzie da Huawei come condizione per la sua partecipazione allo sviluppo dell’infrastruttura nazionale del 5G: l’azienda deve assicurare, ha detto Merkel, che non cederà i dati degli utenti a Pechino, fugando ogni sospetto di essere implicata in attività di spionaggio per conto del governo.
Ad Hanoi il secondo Summit nucleare Trump-Kim Jong un
Donald Trump sceglie come sempre Twitter per annunciare che il nuovo summit con Kim Jong un avrà luogo ad Hanoi alla fine del mese. “I miei rappresentanti”, ha cinguettato sabato il capo della Casa Bianca, “hanno appena lasciato la Corea del Nord dopo un incontro molto produttivo e aver concordato ora e data per il secondo summit con Kim Jong un. Si terrà ad Hanoi, Vietnam, il 27 e 28 febbraio. Non vedo l’ora di vedere il presidente Kim e far avanzare la causa della pace!”. In un tweet successivo, il presidente si è detto convinto che la “Corea del Nord, sotto la leadership di Kim Jong un, diventerà una grande Potenza Economica. Lui può sorprendere ma non sorprenderà me, perché l’ho conosciuto & ho compreso pienamente quanto sia capace. La Corea del Nord”, ha concluso Trump, “diventerà un tipo diverso di razzo – un razzo economico!”. I rappresentanti di ritorno da Pyongyang cui The Donald si riferisce nel tweet sono quelli che, sotto la guida del rappresentante speciale degli Usa per la Corea del Nord Stephen Biegun, hanno avuto tre giorni di colloqui con i negoziatori nordcoreani durante i quali è stata stilata l’agenda del summit. In una nota diffusa venerdì, il Dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere che Biegun e il suo omologo del Nord, Kim Hyok Chol, hanno “discusso (di come) far avanzare gli impegni presi dal presidente Trump e dal presidente Kim al summit di Singapore sulla completa denuclearizzazione, sulle relazioni Usa-(Corea del Nord) e la costruzione di una pace duratura nella penisola coreana”. Secondo Foggy Bottom, gli americani hanno illustrato le “molte azioni” che possono fare per convincere Pyongyang a rinunciare alle armi nucleari; tra gli incentivi, svetta la possibilità di siglare un trattato di pace con cui porre la parola fine al conflitto del 1950-1953, terminato con un mero armistizio. Biegun ha evidenziato che Kim Jong un, durante la visita dello scorso ottobre in Corea del Nord del Segretario di Stato Usa Mike Pompeo, si era impegnato a smantellare i siti in cui si arricchisce l’uranio e il plutonio se l’America avesse preso “misure corrispondenti”. Il summit di Hanoi servirà dunque ad esplorare la possibilità di un do ut des tra Usa e Corea del Nord. In cambio della propria disponibilità, ha fatto capire il rappresentante speciale, l’America si attende che Pyongyang fornisca un elenco dettagliato dei siti e delle installazioni nucleari e missilistiche, una condizione cui il Nord si è sempre graniticamente opposto. Approfondisci su Start Magazine.
Un trumpiano alla Banca mondiale?
Donald Trump ha scelto il suo candidato per la poltrona di presidente della Banca Mondiale lasciata vacante dalle improvvise dimissioni di Jim Yong Kim: è David Malpass, il sottosegretario al Tesoro noto, oltre che per essere un trumpiano della prima ora, per le sue posizioni critiche nei riguardi dell’istituzione che, se la sua nomina passerà indenne il processo di ratifica, dovrà guidare nei prossimi cinque anni. Ma a sospingere Malpass verso la presidenza della World Bank sono, soprattutto, le sue posizioni anti-cinesi molto gradite ad un presidente che ha deciso di sfidare Pechino su tutti i fronti, non ultimo con un duro negoziato sui commerci che vede il sottosegretario impegnato in prima linea a sostenere la linea dura insieme al suo capo al Tesoro, Steven Mnuchin, che insieme alla figlia di Trump Ivanka è il regista della nomina di Malpass. Alla Banca Mondiale, Malpass è chiamato a onorare le parole con cui, nel 2017, denunciò i generosi concessi prestiti alla Cina. “Il più grande debitore della Banca Mondiale è la Cina”, disse Malpass. “Bene, la Cina ha abbondanza di risorse, e non ha senso prestarle soldi degli Usa, usando la garanzia del governo Usa (…) per un paese che ha altre risorse e accesso a capitali di mercato”. Malpass è il candidato ideale di Trump anche per le sue idee, perfettamente allineate a quelle del capo della Casa Bianca, sul multilateralismo e sul ruolo che dovrebbero svolgere istituzioni globali come la Banca diventate, a suo dire, troppo “grandi” e “intrusive”. La sfida, spiegò Malpass intervenendo al Council of Foreign Relations, è “riorientarle” secondo i dettami della teoria trumpiana sintetizzata nel famoso mantra dell’America first. Che non significa, precisò Malpass, ripudio tout court del multilateralismo e annesso ripiego nell’isolazionismo. “Voglio fare una chiara distinzione”, spiegò, “tra isolamento, a cui ci opponiamo, e la nostra visione secondo cui il multilateralismo è andato troppo in là – fino al punto di danneggiare gli Usa e la crescita globale. (…) Questo punto di vista viene talvolta etichettato scorrettamente come populismo, ma penso sia una risposa pragmatica e realistica ad un sistema multilaterale che spesso si allontana dai nostri valori di governo limitato, libertà e stato di diritto”. Approfondisci su Start Magazine.
BREVI
Dopo aver posto per anni il veto alla sua ammissione alla Nato, la Grecia venerdì è diventata il primo paese a ratificare la membership della Macedonia nell’Alleanza Atlantica dopo che i due paesi hanno risolto, non senza tribolazioni, l’annosa disputa sul nome del paese balcanico. I paesi Nato hanno firmato la settimana scorsa l’accordo per l’ingresso della Macedonia nella Nato, pochi giorni dopo che il parlamento greco ha approvato l’intesa tra Atene e Skopje che adotta la nuova denominazione di “Macedonia del Nord”. In base alle regole Nato, l’adesione deve ora essere ratificata da tutti i membri dell’Alleanza in un processo che dovrebbe durare all’incirca un anno. Reuters.
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All’inaugurazione del nuovo quartier generale della BND, i servizi di intelligence esterna della Repubblica Federale Tedesca, la cancelliera Angela Merkel contraddice Donald Trump sull’Isis. “Il cosiddetto Stato Islamico è stato fortunatamente espulso dal suo territorio”, ha spiegato la kanzlerin, “ma sfortunatamente ciò non significa che lo Stato Islamico sia scomparso. (…) Si sta trasformando in una forza (…) asimmetrica. E questa, naturalmente, è una minaccia”. Seguire gli sviluppi dalla Siria sarà una delle priorità della BND, ha sottolineato Merkel, per la quale non andranno sottovalutate nemmeno le minacce cyber e la diffusione di fake news mirata a influenzare le elezioni democratiche. Reuters.
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L’Ambasciatore di Trump all’Ue sogna un’alleanza con l’Europa in chiave anti-cinese. “Dovremmo”, ha spiegato Gordon Sondland in un’intervista a Politico, “unire le nostre rispettive energie – abbiamo insieme 40 trilioni di dollari di Pil, non c’è niente nel pianeta di più potente di questo – per affrontare e controllare la Cina da più punti di vista: economicamente, dal punto di vista dell’intelligence, militarmente”. Politico nota tuttavia una contraddizione tra gli auspici dell’ambasciatore e le scelte politiche del governo Usa: il 19 febbraio il Segretario al Commercio Wilbur Ross presenterà i risultati della sua indagine sui commercio e sono in molti, in Europa, a temere che Ross raccomanderà alla Casa Bianca di introdurre dazi sull’automotive del Vecchio Continente. La Commissione Europea ha già fatto sapere che non resterebbe a guardare, e introdurrebbe a sua volta dazi su 20 miliardi di esportazioni americane.
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Il Dipartimento di Stato Usa chiede agli alleati di reimpatriare e processare i circa 900 foreign fighters dell’Isis catturati dai curdi dell’SDF in Siria. “Nonostante la liberazione del territorio occupato dall’Isis in Siria ed Iraq”, ha dichiarato il vice portavoce del Dipartimento, Robert Palladino, “l’Isis rimane una significativa minaccia terroristica e l’azione collettiva è imperativa per affrontare questa sfida condivisa alla sicurezza internazionale”. In aggiunta ai miliziani europei, c’è da risolvere il problema dei loro familiari: più di quattromila tra mogli, figli e altri congiunti i cui rispettivi paesi di origine, secondo gli Usa, devono farsene urgentemente carico. Un grosso problema, per le nazioni del Vecchio Continente, che hanno ben poco desiderio di riammettere quei loro cittadini che hanno creduto nella distopia sanguinaria del califfato. In America, intanto, c’è chi propone di spedire tutti a Guantanamo o in un’altra prigione speciale.
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“Fino a quando l’America continua ad essere malvagia, la nazione iraniana non abbandonerà ‘Morte all’America”. Così la Guida Suprema della Repubblica Islamica, l’ayatollah Ali Khamenei, al raduno degli ufficiali dell’aviazione militare in occasione del quarantesimo anniversario della rivoluzione del 1979. “Morte all’America”, ha spiegato, “significa morte a Trump, a John Bolton, e a Pompeo. Significa morte ai governanti americani”. “Raccomando”, ha aggiunto, “di non fidarsi nemmeno degli europei”.
SEGNALAZIONI
“Ankara ha voltato le spalle all’Unione Europea e agli obiettivi di politica estera degli Usa: invece, è concentrata nel compito di diventare una potenza regionale”. Leggi l’analisi di The National Interest.