Decapitato e appeso a un palo dalla luce. L’immagine della tragica morte di Khaled al-Asaad, il direttore del sito archeologico di Palmira, ucciso dai jihadisti dello Stato islamico, è stata postata in questi giorni su facebook dal sociologo udinese Marco Orioles, uno dei massimi esperti di Islam. Una foto senza censura, senza l’utilizzo di photoshop. La testa mozzata dinanzi ai piedi, il corpo martoriato dalla violenza dei feroci aguzzini e una pozza di sangue sul marciapiede. Orioles ha scelto di raccontare così la nuda e cruda verità di ciò che sta accadendo in Siria «perché – dice lui stesso – tacere non è più ammissibile». «Il mio – spiega – non è stato un gesto gratuito, dettato dall’impulso. Alla base c’è una riflessione». Orioles si è riagganciato a quanto fece Giuliano Ferrara 11 anni fa, quando, da direttore de “Il Foglio” decise di pubblicare la sequenza del video della decapitazione dell’ostaggio Nicholas Berg ad opera di Al Quaeda. «Dobbiamo aprire gli occhi – questo è il monito del sociologo udinese – vedere quale barbarie sta accadendo nel mondo, non lontano da noi». Per Orioles le immagini vanno diffuse per comprendere meglio l’identità del nemico e «per reagire di conseguenza con l’uso della forza militare. Perché, come ha spiegato di recente l’Economist, il modo migliorare per contrastare la propaganda jihadista è infliggere una sonora sconfitta militare». L’immagine ha smosso coscienze e attirato critiche. C’è chi ha parlato di “arma a doppio taglio”, chi invece è convinto che “dovrebbe bastare solo la notizia per l’indignazione”. Ma il sociologo ribadisce la pericolosità dei jihadisti «Anche perché – aggiunge – se non facciamo qualcosa per sbloccare la situazione siriana, l’emergenza profughi ci travolgerà. Se si vuole essere oggettivi il problema va risolto alla radice».
Davide Vicedomini