La Link Campus University di Roma e il suo presidente Vincenzo Scotti sono finiti al centro dell’attenzione per un intrigante giallo di cui stiamo conoscendo i veri contorni solo in questi giorni. Che ruolo ha avuto l’ex ministro degli Interni della Dc e fondatore dell’ateneo che ha allevato importanti esponenti del governo gialloverde, come il ministro della Difesa Elisabetta Trenta e il viceministro degli Esteri Emanuela Del Re, nel cosiddetto Russiagate?
George Papadopoulos è stato, durante la campagna elettorale per le presidenziali Usa del 2016, il consigliere di politica estera dell’allora candidato repubblicano Donald Trump. Il suo nome è assurto però agli onori delle cronache solo parecchio tempo dopo la vittoria alle urne del tycoon, quando prese forma lo scandalo che ha perseguitato per due anni l’amministrazione Trump. Ci riferiamo ovviamente al Russiagate, vale a dire all’ipotesi, di cui il procuratore speciale Robert Mueller non è riuscito a dimostrare la veridicità, secondo cui il team Trump sia stato colluso con il Cremlino e abbia ricevuto da Mosca un “aiutino” sotto la forma delle famose email di Hillary Clinton trafugate da hacker russi e poi diffuse da Wikileaks. Un favore che, secondo la vulgata del tempo, zar Vladimir Putin avrebbe fatto al futuro presidente degli Stati Uniti e che costituirebbe la prova regina di un’audace macchinazione.
In questo presunto complotto, George Papadopoulos è figura assolutamente centrale. È a lui infatti che i russi, attraverso un intermediario, il professore maltese della Link Campus University, Joseph Mifsud, avrebbero messo a disposizione il materiale compromettente sulla Clinton. E qui entrano in campo Vincenzo Scotti e il suo ateneo. È proprio nella sede della Link Campus a Roma infatti che Scotti, il 14 marzo 2016, presenta a Papadopoulos il docente Mifsud. Il quale mostra un acuto interesse nei confronti del collaboratore del candidato Trump. E, nell’ambito di una frequentazione durata alcune settimane, non solo si mostrerà disponibile a condividere con lui le sue conoscenze russe, ma gli offrirà l’ambito dono delle email della concorrente democratica.
Già venuta a galla, questa storia è proprio ciò che ha dato il “la” all’inchiesta di Mueller, di cui Papadopoulos è stato il primo indagato nonché il primo a subire una condanna con l’accusa di aver fornito falsa testimonianza. Accusa che ora, dopo la rivelazione del rapporto Mueller, Papadopoulos intende contestare insieme all’intero impianto dell’inchiesta. Un’inchiesta che per l’ex consigliere di Trump è infatti andata fuori pista sin dal suo stesso nome: perché, suggerisce Papadopoulos, più che di “Russiagate”, si dovrebbe parlare in realtà di “Spygate”.
La versione di Papadopoulos è ora il cuore di un libro uscito alla fine di febbraio, “Deep State Target”. Un volume che Papadopoulos ha scritto con l’intento di svelare, tra l’altro, cosa sia successo davvero alla Link Campus University nella primavera del 2016 e chi sia realmente quel docente maltese accreditatosi a Papadopoulos come detentore di preziosi contatti e informazioni provenienti dalla Russia. Un libro che punta a dimostrare come Scotti e Mifsud siano stati ingranaggi fondamentali di una operazione di spionaggio ordita dall’amministrazione Obama e condotta dall’Fbi in combutta con l’intelligence e il governo italiani e con la partecipazione dei governi e dell’intelligence britannica e australiana. Una “cospirazione”, per usare le parole di Papadopoulos, che aveva lo scopo di incastrare il giovane consigliere di Trump e, quindi, compromettere il candidato a cui ha prestato i suoi servigi.
Accuse gravi. Per questo Start Magazine ha contattato Papadopoulos. Ecco l’intervista.
George Papadopoulos, lei sostiene di essere stato un “obiettivo dello Stato profondo” e vittima di quello che lei chiama “Spygate”. Vuole spiegarsi? Chi ha spiato chi?
Vorrei precisare che sono stato oggetto di spionaggio ancor prima che entrassi a far parte del team elettorale di Trump. Il rapporto Mueller afferma che io sono stato messo sotto indagine per aver agito come una sorta di agente israeliano. Questo è il motivo per cui sono stato spiato: non perché io fossi un agente di un qualche governo, ma perché ero molto ben inserito nel business energetico nel Mediterraneo. E in questo mondo ero così ben inserito al punto di aver favorito l’incontro tra Donald Trump e il presidente egiziano al Sisi all’Assemblea Generale Onu nel 2016. Così, sono stato spiato perché ero ben inserito in questa parte del mondo e stavo promuovendo un’agenda, riguardo a ciò che Israele dovrebbe fare con il suo gas naturale, che l’amministrazione Obama non appoggiava. Quando sono entrato a far parte del team di Trump, nel marzo 2016, e mi trovavo a Londra, ero già sotto sorveglianza.
Parliamo di quel che è successo il 14 marzo 2016, quando lei si reca a Roma per partecipare ad un simposio alla Link Campus University e conosce Mifsud.
Non appena sono arrivato alla Link, Vincenzo Scotti e un altro uomo di cui non ricordo che ruolo ricoprisse, Pasquale Russo (è il direttore generale della Link University, ndr), hanno cominciato a trattarmi come un Vip. A un certo punto, Scotti mi ha presentato Joseph Mifsud. Il quale sapeva tutto di me, compreso il mio operato nel settore energetico in Israele e il mio network professionale. Mifsud iniziò quindi a dirmi che poteva presentarmi dei russi. Io ho letto l’intervista al Foglio al legale di Mifsud nel quale afferma che Scotti ha ordinato a Mifsud di presentarmi dei russi. Devo precisare che era stato in realtà un intermediario dell’Fbi a Londra a dirmi di andare alla Link Campus a incontrare Mifsud. Io credo quindi che l’Fbi fosse in contatto con Scotti e che la persona dell’Fbi di Londra che mi disse di incontrare Mifsud l’avesse avvisato che io stavo andando alla Link. Il coinvolgimento dell’Italia comprende quindi la Link Campus, Vincenzo Scotti, Pasquale Russo e Joseph Mifsud, ma anche l’agente dell’Fbi Michael Gaeta, che era il capo dell’Fbi a Roma e che è attualmente sotto inchiesta. Ci sono rapporti che dimostrano come questo Gaeta fosse in contatto diretto con Scotti e Mifsud. Questa è la prova della mia teoria, che ora sta spingendo Trump e il Congresso ad aprire un’indagine con la quale provare che forse il governo italiano era colluso con l’Fbi e ha usato Mifsud per mettermi in trappola.
Ne sono convinto al 100%. La settimana scorsa ho concesso un’intervista al programma più famoso di Fox News, “Fox & Friends”, nella quale ho spiegato quel che ha scoperto “Il Foglio”, ossia che Mifsud (dopo essere scomparso, ndr) viveva a Roma, vicino all’ambasciata americana. Ebbene, il giorno dopo questa intervista, Donald Trump ha chiamato il primo ministro italiano, e mi è stato detto che Joseph Mifsud è stato una parte centrale della loro conversazione. Non mi sembra causale che, dopo la telefonata tra Trump (e Conte), il legale di Mifsud abbia concesso un’intervista al “Foglio”. Io non so quanto sia credibile costui: credo, infatti, che non conosca tutte le informazioni. Le informazioni che ho io dicono che Mifsud e Scotti erano in diretto contatto con Michael Gaeta, il capo dell’Fbi a Roma, ed è per questo motivo che Gaeta adesso è un testimone chiave della nuova inchiesta che è stata fatta partire dal nuovo Attorney General, William Barr. L’Italia dunque è coinvolta. E non c’è solo l’Italia: ci sono prove che suggeriscono che anche i britannici e gli australiani hanno lavorato con l’amministrazione Obama per spiare me ed altri, tra cui Michael Flynn (il primo Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump che fu costretto a dimettersi per aver mentito sui suoi contatti con l’ambasciatore russo, ndr). Le prove che stanno emergendo dimostrano che alcuni governi stranieri hanno agito in collusione con l’amministrazione Obama per sabotare Trump e il suo team. E il ruolo dell’Italia è uno dei più misteriosi, perché non so cosa l’Italia potesse guadagnare lavorando con l’Fbi per danneggiare Trump e il suo team. A meno che Renzi, che era un amico molto stretto di Obama, non avesse qualche interesse nella presidenza Clinton. Questa è per il momento la mia teoria.
Secondo la sua teoria, dunque, il governo italiano dell’epoca e la nostra intelligence avrebbero collaborato a questa operazione che l’ha coinvolta e che aveva lo scopo di danneggiare Trump?
L’unica ragione per cui Scotti può aver ordinato a Mifsud di presentarmi dei contatti russi fittizi era che fosse parte di un’operazione in cui era coinvolta l’intelligence italiana. E se l’intelligence italiana ha preso di mira un americano che stava lavorando per un candidato alla presidenza Usa, significa che gli italiani hanno ricevuto l’ordine di creare questa storia fittizia che coinvolgeva me, Mifsud e i russi. Quindi, secondo me Mifsud è un agente segreto. Non credo affatto che Mifsud si nasconda perché teme per la sua vita. Penso che si stia nascondendo perché era coinvolto in un’operazione che, prendendo di mira me, ha cercato di sabotare Trump.
Secondo lei, chi è davvero Mifsud e per chi lavorava?
Credo che il prof. Mifsud sia stato gestito inizialmente dall’intelligence britannica a Londra, visto che viveva a Londra, dove aveva importanti relazioni, compresa quella con l’ex ministro degli Esteri Boris Johnson. Penso poi che quando è andato a Londra è entrato in contatto con Michael Gaeta che ora è un testimone chiave della nuova inchiesta. Credo quindi, anche se non ne ho ancora le prove, che Mifsud sia stato gestito personalmente da Gaeta, e che i britannici e gli americani, insieme agli italiani, lo abbiano usato. Non possono esserci altre spiegazioni al fatto che Scotti mi abbia presentato Mifsud e questi abbia poi tentato di incastrarmi con falsi scenari di collusione coi russi. Questa era ovviamente un’operazione pianificata.
Che ruolo ha avuto Scotti secondo lei?
Quando sono andato alla Link, Scotti mi ha trattato come un re. E non riuscivo a capire perché. Credo che il London Centre of International Law Practice – l’istituto per cui lavoravo e che mi ha chiesto di andare alla Link Campus – fosse in contatto con Scotti e probabilmente anche con l’intelligence italiana. Scotti ovviamente è persona ben inserita negli ambienti di intelligence in Italia. Ed è lui che mi ha presentato Mifsud alla Link. Questo è il motivo per cui la Link ora è sotto inchiesta (da parte dell’Attorney General William Barr, ndr), e non penso proprio per i legami con i russi.
Perché lei definisce la Link University una “scuola di spie”?
La Link Campus ospita persone ben collegate con l’Fbi, la Cia e l’MI6. Mifsud quindi non poteva essere una spia russa o un agente russo, visto che aveva rapporti con la Cia e con l’MI6. La versione secondo cui Mifsud era un individuo solitario che lavorava per la Russia non ha senso. Nemmeno i liberal in America credono più che Mifsud fosse un agente russo.
Secondo lei dov’è Mifsud?
Secondo me, Mifsud è protetto dall’intelligence italiana perché l’Italia ha capito di aver fatto un grande errore nel 2016 lavorando con l’Fbi e con l’amministrazione Obama usando Mifsud per creare una falsa cospirazione. Credo che Mifsud abbia cambiato identità, e viva sotto falso nome. Questo significa che è stato aiutato dal governo. Chiediamoci, dunque: perché il governo italiano protegge Mifsud? Per me, il motivo è che gli italiani hanno agito in collusione con l’amministrazione Obama e ora stanno cercando di nascondere il loro ruolo. Credo sia nell’interesse dell’attuale governo italiano, che ha rapporti più amichevoli con Donald Trump, spiegare cos’è successo davvero nel 2016 sotto il governo Renzi. Il governo italiano dovrebbe mettere Mifsud a disposizione delle autorità americane, perché naturalmente l’Italia sa dove si trovi Mifsud e lo sta nascondendo.