Due camion-bomba in mezzo ai civili. Scenari da devastazione, con oltre 200 morti e centinaia di feriti in un bilancio che continua a crescere. Il terrorismo qaedista piaga la Somalia da dieci anni, ma l’attentato di ieri a Mogadiscio è il più grave di sempre.
I media mondiali sembrano accorgersene solo ora che il numero delle vittime ha raggiunto le tre cifre, come se i morti africani pesassero meno di quelli spagnoli o francesi. Gli aggiornamenti sono continui, e riferiscono la tragica contabilità della morte violenta che in queste strade è all’ordine del giorno.
La Somalia è la riserva di caccia degli al-Shebaab, i “giovani”, ultima delle sigle che hanno funestato un paese che non conosce pace da decenni. L’ideologia è la stessa della casa madre, le tattiche pure, idem lo sfondo, una terra islamica strattonata da forze contrapposte, con in mezzo una popolazione stremata da fame e mal governo.
Gli Stati Uniti e l’Unione Africana cercano da tempo di sostenere gli sforzi del Paese di reggere sui propri piedi. L’attacco di sabato sferra un colpo letale a questi tentativi disperati. I due ordigni deflagrano in pieno centro, uno nei pressi di un hotel, nel quartiere dei palazzi governativi e delle ambasciate.
È una sfida al mondo, che gli Shebaab ancora non rivendicano, sebbene tutti sappiano che lo zampino sia il loro. Il presidente somalo ha proclamato tre giorni di lutto nazionale e ha chiesto di donare sangue, mostrando l’esempio.