Il nuovo quinquennio di Xi Jinping a capo del Partito Comunista Cinese (Pcc) e della Repubblica popolare si apre con uno schiaffo ai media anglosassoni. Alla conferenza stampa di ieri in cui Xi ha presentato i membri del nuovo Politburo, organo supremo di governo della Cina, è stato negato l’accesso a cinque influenti organi di informazione britannici e americani. Dalla sala del palazzo prospiciente piazza Tienanmen sono rimasti fuori, nonostante ne abbiano fatto regolare richiesta, i reporter di New York Times, BBC, The Economist, The Independent e The Guardian.
Secondo le dichiarazioni della vigilia, il diciannovesimo congresso del partito, convocato per sigillare la “nuova era” della leadership mondiale cinese sotto la guida di Xi, doveva consumarsi all’insegna della glasnost. Dopo una settimana di lavori attentamente coreografati per essere riferiti con i dovuti crismi dai tremila corrispondenti esteri presenti a Pechino, la conferenza stampa di ieri rappresentava il culmine di una solenne liturgia, con la presentazione al popolo e all’opinione pubblica globale dei sette apparatchik chiamati a governare partito e Repubblica.
La liturgia del rito di mercoledì non prevedeva ovviamente domande della stampa, solo dichiarazioni preconfezionate. Ma per non correre troppi rischi, il partito ha pensato bene di lasciare alla porta cinque testimoni scomodi. Cogliendo due piccioni con una fava: evitare ulteriori provocazioni occidentali, così connaturate ad una stampa che ha il vizio di non essere accomodante, e lanciare un messaggio intimidatorio a tutti coloro che meditassero di disturbare i timonieri, o ritenessero di non indulgere in ossequi e riverenze.
Il Club dei corrispondenti esteri in Cina ha commentato con sdegno la decisione del Pcc. “La conferenza stampa è un evento di alto profilo che coinvolge la suprema dirigenza cinese”, ha dichiarato il Club, “ed è ovvio concluderne che questi organi di informazione siano stati selezionati appositamente per mandare un messaggio”. “Usare l’accesso dei media per punire i giornalisti di cui si disapprova la copertura”, aggiungono, “è una colossale violazione dei principi della libertà di stampa”.
Il partito, ovviamente, ha fatto spallucce. Geng Shuang, portavoce del ministero degli esteri, ha commentato l’episodio con parole sdolcinate: “ciò che posso dirvi è che abbiamo dato il benvenuto ai giornalisti stranieri affinché riferissero dei lavori del diciannovesimo congresso del partito e realizzassero delle interviste”. Sulla questione specifica del diniego alle cinque testate, ha preferito dribblare: “noi gestiamo le richieste dei giornalisti stranieri in base alle leggi e ai regolamenti”.
Cosa queste leggi e regolamenti prevedano lo ha chiarito il centro media del congresso del partito. Il “nostro benvenuto”, spiega, va a “tutti coloro che hanno a cuore lo sviluppo della Cina e che sono interessati alla direzione futura della politica cinese”. Alla conferenza stampa di ieri, non a caso, ha potuto partecipare il Daily Telegraph, quotidiano britannico che ha un contratto annuale di 800 mila sterline con il China Daily – organo di partito – per pubblicare in Gran Bretagna la propaganda cinese.
Come una libera stampa possa convivere con la genuflessione agli imperativi della politica cinese è interrogativo che assillerà tutti coloro che, tessera di giornalista in tasca, cercheranno negli anni a venire di raccontare la vita pubblica del Dragone. Facile immaginare che, ove le prerogative della prima cederanno il posto ai secondi, si avrà diritto al più caloroso degli abbracci. A chiarire le regole del gioco è stato, alla conferenza stampa di ieri, Xi Jinping in persona. Che ai presenti ha certificato la propria benevolenza. “Il congresso del partito è stato seguito in modo esteso e dettagliato dai nostri amici della stampa, con molti di voi che sono venuti da lontano. Avete lavorato duramente e la vostra copertura ha catturato l’attenzione del mondo. Voglio dire un grosso grazie a tutti voi”, ha detto Xi. Che non si è astenuto dal precisare che “non abbiamo bisogno di lodi sontuose”.
Le lodi, nella “nuova era” di Xi e dell’ascesa della Cina al rango di superpotenza mondiale, saranno anche un esercizio non richiesto. Ma nemmeno le voci fuori dal coro dovrebbero, secondo gli auspici del Pcc, essere incoraggiate. Come spiega Qiao Mu, già docente di giornalismo alla Foreign Studies University di Pechino ed ora in esilio negli Stati Uniti, la Cina lo ha fatto capire ieri escludendo dalla conferenza stampa quelli che, ai suoi occhi, appaiono degli irredimibili “trouble makers”. La mossa del partito, secondo Qiao, riflette la sua volontà di “controllare il tono dei media occidentali” e la frustrazione nel non riuscire a farlo con quei cocciuti del New York Times e della Bbc.
Si annunciano tempi duri, per i corrispondenti dalla Cina non allineati con l’astro nascente di Xi e del suo Politburo. Per Qiao anzi “la situazione peggiorerà (…) sempre più siti web di media occidentali saranno bloccati, e giornalisti espulsi o sarà per loro difficile ottenere i visti”. Nell’”era” di Xi”, conclude, “ci sarà spazio per una sola voce”.
La voce del padrone.