Convocata in tutta fretta dal governo italiano, la Conferenza di Palermo sulla Libia ha tentato di delineare una via d’uscita dal caos della nostra ex quarta sponda. La strategia disegnata dal nostro esecutivo si è mossa su un doppio binario: formazione del più ampio consenso internazionale alla road map per la Libia messa a punto dalle Nazioni Unite; inclusione del maggior numero degli attori libici in un percorso di pacificazione che dovrà condurre alla convocazione di nuove elezioni nazionali. Sul primo fronte, il primo ministro Giuseppe Conte, regista dell’intera operazione, ha raccolto un ben misero bottino. A Palermo erano assenti i principali leader della comunità internazionale, dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump a quello russo Vladimir Putin, ma si è fatta sentire anche l’assenza dei vertici dei nostri partner europei, dalla cancelliera tedesca Angela Merkel al presidente francese Emmanuel Macron. Diserzioni più che compensate, tuttavia, dalla partecipazione dei principali attori della regione, in primis il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi che ha così ottenuto il definitivo sdoganamento da parte del governo italiano dopo gli anni burrascosi del caso Regeni. Quanto al secondo fronte, il compattamento dei protagonisti della crisi libica e la loro adesione alla road map Onu, l’Italia può vantare un successo almeno parziale. A Palermo si sono presentati infatti sia il capo del governo di Tripoli, Fayez al-Sarraj, sia l’uomo forte dell’Est, il feldmaresciallo Khalifa Haftar, accompagnati dai presidenti dei due parlamenti contrapposti di Tripoli e Tobruk. Portare nel capoluogo siciliano Haftar è stata un’impresa titanica. Fino all’ultimo, il generalissimo ha tenuto l’Italia con il fiato sospeso, costringendo persino il nostro capo dell’intelligence esterna Manenti a volare di gran fretta a Mosca per persuadere Haftar, che era a colloquio col ministro della difesa russo, ad accettare l’invito di Conte. Anche a Palermo, Haftar ha interpretato inoltre il ruolo della prima donna, rifiutandosi di partecipare alla sessione generale della Conferenza pur di non sedersi allo stesso tavolo con i propri avversari islamisti. Ma la stretta di mano tra Haftar e Sarraj, alla fine, c’è stata: suggello del patto per una nuova Libia che dovrà scaturire dalle elezioni parlamentari e presidenziali da celebrarsi il prossimo anno o, al massimo, all’inizio del 2020. Se son rose, fioriranno.
Conferenza di Palermo: Libia, un successo italiano a metà
Pubblicato il 30/11/2018 - Il Friuli
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