Le elezioni americane di metà mandato (midterm) sono state, senza dubbio, l’evento più seguito nel mondo dei giorni scorsi. Lo sono state per un motivo quanto mai evidente: rappresentavano un test su Trump e il trumpismo, a due anni di distanza dall’inattesa vittoria del tycoon alle presidenziali 2016. Un’occasione per misurare la tenuta di una leadership e di un fenomeno che ha scioccato il pianeta, innescando la sommossa populista che si è propagata ovunque. Il voto ha dimostrato che gli americani non hanno affatto mollato un uomo noto per la sua retorica incendiaria e per le politiche draconiane e divisive. Il partito del presidente, i Repubblicani, cede sì la Camera dei Rappresentanti agli avversari democratici, ma mantiene e anzi rafforza la maggioranza al Senato. L’Onda “blu” (il colore dei Dem) pronosticata dai sondaggi si è materializzata, ma non è stata così travolgente. Ha consentito ai democratici di eleggere figure rappresentative della rivolta anti-Trump, come la pasionaria “socialista” Alexandria Ocasio-Cortez, la ventinovenne di origini portoricane che diventa la deputata più giovane a varcare le porte del Congresso nella storia degli Usa. Ma non è stata sufficiente a dimostrare che gli americani ripudiano il capo della Casa Bianca. Al contrario. Trump può cantare vittoria perché, in una tornata elettorale che di norma assegna un trionfo agli avversari del presidente, tutto si è verificato tranne che una disfatta repubblicana. Si apre, ora, una fase di studio in vista dell’obiettivo elettorale prossimo venturo: le presidenziali 2020. In campo democratico, comincia la marcia per individuare il candidato da presentare tra due anni. I papabili sono numerosi, in un contesto che vede il partito dell’Asinello ancora diviso tra un’ala centrista e moderata e una fazione radicale indisponibile a qualsiasi compromesso. Se vogliono espugnare la Casa Bianca, i Dem dovranno fare un grande sforzo di mediazione tra le anime del partito e convergere su una proposta in grado di convincere la metà più uno degli elettori. Trump, dal canto suo, farà affidamento sulle sue armi preferite: una propaganda martellante, incentrata su temi centrali come l’immigrazione, l’identità, e il nazionalismo, e uno stile comunicativo virulento ma capace di sedurre l’America profonda. Ci attendono due anni al calor bianco, in un clima arroventato in cui un uomo d’istinto come Trump non può che sguazzare.
Elezioni Usa: l’America profonda non molla Donald Trump