Il cerchio si sta stringendo intorno a Ghouta, il sobborgo di Damasco roccaforte dei ribelli che da febbraio è al centro di una feroce offensiva da parte del regime e del suo alleato russo. Ieri un gruppo ribelle ha accettato di cedere il controllo della città di Harasta e di evacuare i suoi combattenti e i relativi familiari, mentre un altro gruppo di miliziani starebbe per seguirne l’esempio e ha raggiunto attraverso le Nazioni Unite un accordo per il cessate il fuoco.
Segnali di imminente resa, cui si aggiungono le dichiarazioni tronfie di Damasco, che annuncia di controllare ormai l’80% dell’enclave. Ma nel sobborgo rimangono ancora decine di migliaia di persone in aree densamente abitate, come Douma, la città più grande dell’area che è controllata da Jaish al-Islam e da cui ieri più di 6mila persone sono fuggite, secondo la televisione di Stato. A Douma vanno aggiunte le località come Jibar, Ein Terma, Arbun e Zamalka, dove a dominare è il gruppo Failaq al-Rahman.
Ieri è stata una giornata come le altre, per gli abitanti assediati di Ghouta, bersagliati da intensi bombardamenti che secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani hanno ucciso diciannove persone. Ma è stato anche il giorno in cui il gruppo ribelle Ahrah al-Sham ha alzato bandiera bianca e ha accettato le condizioni del governo, evacuando combattenti familiari da Harasta, la città che controllava dal 2013. Un portavoce della fazione, Monther Fares, ha confermato la partenza, una decisione presa a causa delle “pressioni dei civili” stanchi dei continui bombardamenti e degli “aerei che non se ne vanno mai dal cielo”. In seguito all’accordo raggiunto col governo di Damasco, propiziato da uno scambio di prigionieri, ieri sera trenta autobus hanno trasportato fuori da Harasta 1.580 persone, inclusi 413 combattenti. Secondo una fonte governativa, l’accordo prevede complessivamente la partenza di 1.500 combattenti e di 6 mila familiari. Per i renitenti, il regime ha previsto un duro trattamento: un ufficiale siriano intervistato dalla tv di stato ha dichiarato che “la morte vi raggiungerà se non vi arrendete”.
Dopo il viaggio in autobus i miliziani in uscita saranno ricollocati più a nord, nella provincia di Idlib, l’ultima zona della Siria dove i ribelli dominano ancora. Vi è chi sente puzza di bruciato nella mossa del regime di trasferire a Idlib i ribelli di Ghouta. Il sospetto è che li si voglia concentrare tutti lì, per poi fare i conti con loro in un secondo momento. Oppure quella del governo è un abile manovra per dimostrare a tempo debito che a non cedere, e a concentrarsi a Idlib, sono irriducibili formazioni jihadiste che sarà più semplice liquidare con la scusa della lotta al terrorismo.
Mentre Ahrar al-Sham soccombeva alle condizioni del governo, un altro gruppo ribelle stanziato a Ghouta, Failaq al-Rahman, annunciava di aver raggiunto un accordo per un cessate il fuoco, entrato in vigore alle mezzanotte di ieri. Come ha riferito a Reuters Wael Alwan, portavoce del gruppo di stanza a Istanbul, “Failaq al-Rahman ha comunicato attraverso l’Onu e l’Onu ha ottenuto un accordo sul cessate il fuoco (…) al fine di far cominciare una sessione negoziale finale (…) per negoziare con i russi una soluzione per garantire la sicurezza dei civili e che la loro sofferenza finisca”.
Anche a Douma, frattanto, si valuta il da farsi. Iyad Abdelaziz, membro del consiglio locale della città, ha dichiarato che un comitato civico sta discutendo con i russi in vista di un accordo. Il comitato avrebbe presentato alla controparte la proposta di permettere alle forze russe di entrare in città, e di lasciare i residenti al loro posto. Ma il riscontro dai russi non non è ancora arrivato; anzi, come testimonia Abdelaziz, “fino ad ora, non abbiano avuto risposta dai russi, ma oggi abbiamo ricevuto una replica di razzi e bombe”.
A Douma sembra esserci una divergenza di vedute tra i residenti e i combattenti. Questi ultimi, radunati sotto le bandiere di Jaish al-Islam, non sono intenzionati a cedere le armi. I civili invece sono stanchi della situazione impossibile in cui vivono da mesi, come dimostra il flusso in uscita di cittadini che sono transitati dal checkpoint di Wafideen. Il sito web del Ministero della Difesa russo ha mostrato ieri immagini dal vivo che documentavano questo lento esilio da parte di consistenti nuclei di popolazione stremata.
Il governo di Damasco e il suo alleato russo sembrano dunque in procinto di intascarsi una vittoria piena, che ricorda da vicino quella di dicembre 2016 di Aleppo, altra roccaforte dei ribelli che ha subito un trattamento simile a quello patito oggi da Ghouta e ha ceduto dopo immense sofferenze e un numero incalcolabile di morti.