Non è passata inosservata la visita a Mosca lo scorso 14 giugno del principe saudita Mohammed bin Salman (MBS). Ufficialmente organizzato per permettere a MbS di assistere al match di apertura dei mondiali di calcio tra le rappresentative nazionali di Arabia Saudita e Russia, il viaggio ha offerto all’erede al trono l’opportunità di discutere con il presidente Vladimir Putin di una serie di dossier di interesse comune.
Il colloquio tra i due leader al Cremlino si è tenuto non a caso a pochi giorni dal cruciale meeting Opec a Vienna, in calendario per il prossimo 22 giugno. In quella sede, sarà stabilito molto probabilmente un aumento della produzione di petrolio e, quindi, delle quote spettanti ai singoli paesi Opec. Mossa finalizzata a intervenire su un mercato caratterizzato da prezzi in costante aumento, dall’estrema instabilità derivante dalle turbolenze in nazioni come Venezuela, Libia, Nigeria e Iraq, nonché dalle conseguenze imminenti delle sanzioni varate dagli Stati Uniti contro l’Iran.
L’incontro di Vienna sarà inoltre l’occasione per rinnovare l’intesa siglata nel novembre 2016 tra 23 paesi Opec e non Opec – e quindi la inedita collaborazione tra Arabia Saudita e Russia sul fronte dell’energia. L’asse, conosciuto come Opec+, concordò allora la riduzione della produzione globale di petrolio di 1.8 milioni di barili al giorno. L’accordo è divenuto operativo in apertura del 2017 e da allora è stato prorogato due volte.
L’incontro al Cremlino tra Putin e MbS, alla presenza dei rispettivi ministri dell’energia Alexander Novak e Khalid al-Falih, è valso a rinnovare l’intesa tra i due paesi, attualmente convergenti sulla necessità di aumentare la produzione globale di petrolio. Tanto il presidente russo quanto il principe saudita sono convinti inoltre della necessità di rinnovare la formula dell’Opec+, e di trasformarla in un forum permanente che permetta a tutti i paesi produttori di coordinare le proprie mosse nel mercato dell’energia.
Se dalle consultazioni tra Novak e al-Falih è emersa la volontà comune di aumentare la produzione, si sono registrate però delle divergenze sull’ammontare di questo incremento. Alla proposta dell’Arabia Saudita di quantificarlo in un milione di barili al giorno (bpd), Novak ha replicato con una controproposta di alzare la quota di altro mezzo milione di bpd.
Le considerazioni di Mosca sono in linea con le previsioni di vari analisti russi, convinti che un aumento di un solo milione di bpd potrebbe non essere sufficiente per contenere il prezzo del greggio nella forbice desiderata tra 65 e 75 dollari. Non le sono estranee inoltre le dichiarazioni di qualche settimana fa del numero 1 del colosso dell’energia Rosnef Igor Sechin, secondo cui le sanzioni Usa contro l’Iran provocheranno un significativo aumento del prezzo al barile.
Bisognerà aspettare il 22 giugno per capire quale delle due istanze prevarrà. Certo è che Mosca e Ryadh manifestano una palese volontà di collaborare, ben testimoniata dalla storica visita del re Salman bin Abdul-Aziz Al Saud nella capitale russa lo scorso ottobre e dalla calorosa accoglienza riservata da Putin a suo figlio il 14 giugno.
È presto però per parlare di una luna di miele tra Arabia Saudita e Russia. Se sul piano dell’energia si registra una significativa convergenza, sono numerosi i temi su cui le due potenze non la vedono allo stesso modo.
Quello iraniano è certamente in testa ai temi su cui si registrano delle frizioni tra Mosca e Ryadh. Quest’ultima è notoriamente preoccupata per le manovre di Teheran in Medio Oriente, che vedono la Repubblica islamica sempre più radicarsi in Siria, condizionare le vicende interne del Libano, e ingerire nel conflitto in Yemen dove gli ayatollah sostengono le milizie Houthi contro le quali i sauditi, in partnership con gli alleati arabi, hanno scatenato nella primavera del 2015 un conflitto che prosegue a tutt’oggi mettendo in allarme la comunità internazionale per le sue conseguenze sulla popolazione civile.
Mosca, per parte sua, ha scelto di schierarsi al fianco del presidente siriano Bashar al-Assad e del suo partner iraniano. L’intervento russo in Siria si è rivelato decisivo per mutare le sorti della guerra civile, che ora vede i governativi e le forze a loro alleate – Iran in primis – sull’orlo della vittoria, per lo scorno di chi, come i sauditi, ha sostenuto per anni e con tutti i mezzi il fronte opposto.
Negli ultimi mesi, tuttavia, la Russia ha cominciato a tenere conto delle inquietudini saudite e israeliane per la dilagante presenza dei pasdaran in Siria. Putin sembra prestare ultimamente molta attenzione alle richieste di Gerusalemme, che considera la presenza delle forze iraniane nella Siria meridionale, nei pressi dei confini settentrionali di Israele, come una minaccia alla propria sicurezza se non come l’anticamera di un conflitto tra i due antichi rivali.
Se l’apparente convergenza tra Russia, Israele e Arabia Saudita sulla necessità di contenere la presenza iraniana in Siria è senz’altro una buona notizia per Ryadh, non lo stesso può dirsi per un’altra questione spinosa: quella del Qatar. Nonostante le pressioni saudite, Mosca si è astenuta dal preso posizione sull’embargo varato il giugno scorso da Ryadh, Abu Dhabi e altri paesi arabi contro Doha.
L’accordo tra Russia e Qatar per la fornitura del sistema S-400 a Doha rappresenta un elemento di ulteriore preoccupazione per l’Arabia Saudita, al punto di spingere il re Salman a scrivere una lettera al presidente francese Emmanuel Macron nella quale si minacciano azioni militari contri Doha qualora l’affare S-400 fosse finalizzato.
Il viaggio di MbS a Mosca sarà senz’altro servito a capire le opportunità ma anche i limiti della relazione tra Riad e Mosca. Una relazione che fa registrare significative convergenze, ma anche la distanza su vari dossier. Bisognerà attendere l’incontro del 22 giugno a Vienna per capire se questo dialogo porterà i suoi frutti sul fronte vitale dell’energia. Quanto agli altri temi, è presto per pronunciarsi.