Il sindaco Anna Cisint vuole, e ordina, che nelle scuole d’infanzia della sua Monfalcone i bimbi stranieri non superino il 45% degli iscritti.
Se cercavamo un’applicazione pratica del mantra “Prima gli italiani”, l’abbiamo trovata. Scaturisce nella città dei cantieri, dove – come ovunque – le famiglie autoctone non fanno figli e le scuole, anziché chiudere i battenti, si riempiono dei pargoli dei nuclei stranieri, che li sfornano ancora. Dove – come ovunque – la domanda di lavoro espressa dal tessuto produttivo locale ha attirato negli anni numerosi lavoratori comunitari ed extracomunitari. Grazie al cui contributo, e a tanti sacrifici, l’economia non collassa, le occupazioni umili e sottopagate scartate dagli italiani non scompaiono, gli anziani non restano soli. E la Fincantieri continua a sfornare quelle navi che riempiono di orgoglio un un’intera nazione.
E non è appunto l’interesse nazionale che la Lega sovranista vuole tutelare? La manodopera straniera meriterebbe una medaglia, o comunque un riconoscimento, da parte dell’amministrazione comunale di Monfalcone. La quale, invece, decide di ripagarla cacciando dagli asili la sua prole. Ovazioni del vicepremier Salvini e dal governatore Fedriga, rivolta di tutti gli altri. Di coloro, cioè, che non si fanno ingannare dalle spiegazioni del primo cittadino. Nel cui provvedimento intravedono il dna della xenofobia, primo motore della rivoluzione salviniana.
Ma già, il sindaco sostiene di voler evitare le classi-ghetto. Quel fenomeno per cui, sempre più spesso, quei pochi bambini che la residua fecondità dei nativi ci dona ancora condividono i banchi e i giochi con una cospicua maggioranza di coetanei di diversa ascendenza. Il problema, dunque, non è tanto la sovrabbondanza di stranieri, ma la scarsità delle nuove leve di monfalconesi doc. Sono le arcigne leggi della demografia, e quelle inaggirabili dell’economia, che generano la situazione che Cisint censura. Una situazione che può star stretta ai nostalgici dei bei tempi andati, quelli che rimpiangono l’era in cui lo straniero era una componente marginale della popolazione . Ma che è qui per restare, ed è anzi destinata ad accentuarsi nel tempo.
Un bagno di realtà farebbe bene a tutti, anche a Cisint. La quale, in quanto primo cittadino, ha la responsabilità di promuovere tra i residenti maggiore consapevolezza dei dati di fatto, non certo incoraggiare ad eluderli.
Monfalcone non è una città qualsiasi: con il 22% di popolazione straniera, quasi il triplo della media regionale, è un laboratorio di convivenza tra gruppi diversi per provenienza, cultura, lingua e religione. Alle nuove generazioni, cui le parole d’ordine della politica sono (per fortuna) estranee, dovremmo insegnare la tolleranza, il dialogo, la mutua comprensione, il rispetto. Le scuole sono il luogo per eccellenza in cui tale missione può e deve adempiersi. È qui che italiani e stranieri si avvicinano, spesso per la prima volta, toccando con mano la reciproca umanità. È qui che si affinano le competenze nella lingua italiana, requisito chiave dell’integrazione e volano per i successi formativi e professionali degli anni successivi.
È proprio allontanando dalle scuole i bimbi stranieri, per farne la riserva indiana degli ultimi italiani, che si creano i ghetti. Separando i destini degli stranieri da quelli degli italiani si creano le condizioni per la segmentazione della società, preludio a future tensioni e scontri. Si accentuano le differenze, anziché mitigarle ponendole sotto l’ombrello condiviso dell’italianità. La società multietnica pone sfide a cui tutti noi, amministratori in primis, siamo chiamati a trovare delle risposte.
Quella del sindaco Cisint è sbagliata.