Già l’anno scorso gli analisti ci avevano messo in guardia: la fine del califfato come esperienza politica e territoriale non comporterà la fine del fenomeno Isis. Le indagini condotte dalla Polizia Postale di Trieste e delle Digos del capoluogo giuliano e di Udine ci pongono di fronte ad una prova ineluttabile di questa realtà. Con un aggravante: che la persona indagata per aver tentato di fare proselitismo on line, e di spingere i suoi amici virtuali a compiere attentati, è un giovane friulano di origine algerina. La caduta di Raqqa e Mosul, le roccaforti del califfato in Siria ed Iraq, grazie alle operazioni militari americane rappresenta solo un capitolo di una lotta che durerà a lungo. Un combattimento in cui la parte sana delle nostre società dovrà cercare di arginare un fenomeno che nessun esercito in armi può debellare: la circolazione via web del credo jihadista. In questo preciso momento battaglioni di ciberguerrieri in vari punti del mondo sono intenti a disseminare la rete di messaggi che inneggiano alla guerra santa contro gli infedeli. Con la loro opera, altamente pervasiva perché si avvale delle maggiori applicazioni disponibili ad ogni utente del web, questi combattenti di mouse armati tentano di convertire il maggior numero di musulmani alla loro causa, nonché di spingerli ad entrare in azione in nome delle credenze acquisite. Si tratta di una realtà che le nostre autorità faticano a monitorare, perché ci vogliono anni per stanare i soggetti che sulla rete alimentano i circuiti della propaganda jihadista. Così è andata anche per il ragazzo friulano, sotto indagine da almeno due anni. Un tempo lunghissimo, durante il quale la condivisione dell’ideologia islamista dietro gli schermi dei computer avrebbe potuto fare molti danni. Bastava infatti che una sola persona squilibrata o particolarmente determinata fosse caduta troppo a fondo in questa trappola e lo spettro di un attentato, magari rudimentale e low cost, avrebbe potuto materializzarsi nelle nostre città. Non esistono purtroppo rimedi efficaci, perché per ogni propagandista scovato e neutralizzato dalle autorità ne sbuca un altro che ne prosegue l’opera. L’unica soluzione per sconfiggere il califfato virtuale è aggredire con metodi efficaci il suo nutrimento, ossia le idee che in suo nome vengono veicolate. Il compito che ci sta di fronte è immane ma non impossibile: si tratta di screditare quella versione pregna di odio dell’islam di cui si abbeverano i jihadisti. Negli ultimi quattro anni, questa missione si è rivelata impervia perché i seguaci del jihad potevano fare riferimento alla realtà fisica del califfato, incarnazione del mito della società islamica perfetta. Ora che il califfato non c’è più, rimangono le scorie ideologiche e un desiderio di vendetta nei confronti di quei paesi che, in coalizione con gli americani, hanno sconfitto le bandiere nere in Siria ed Iraq. Per affrontare efficacemente questo problema, l’unica strada è intraprendere un’azione pedagogica nei confronti dei giovani musulmani più a rischio affinché si rendano conto che la versione dell’islam trasmessa dai jihadisti non solo ha radici teologiche alquanto fragili, ma viola i principali valori della religione di Maometto. Il fatto che il giovane friulano sia stato avviato ad un percorso di deradicalizzazione, sotto lo sguardo attento di un imam incaricato di insegnargli i veri precetti dell’islam, è il commendevole esempio di una buona pratica. L’auspicio è che ce ne sia il minor bisogno possibile, almeno in Friuli.
Quei giovani cyberterroristi che seminano tanta paura
Pubblicato il 08/04/2018 - Messaggero Veneto
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