Dopo aver cambiato le sorti del conflitto in Siria, determinando la vittoria del rais di Damasco Bashar al-Assad, il presidente russo Vladimir Putin tenta ora di vincere la pace. Per farlo sceglie Sochi, la località sul Mar Nero in cui ha convocato i suoi alleati Hassan Rouhani, presidente dell’Iran, e Recep Tayyip Erdogan, presidente turco. I tre leader, nella formula pattizia di Astana, hanno unito le forze l’anno scorso con l’intento di determinare i nuovi equilibri della Siria dopo i successi militari della coalizione a guida russa. Man mano che le truppe di Assad, appoggiate dall’aviazione di Mosca e dai miliziani sciiti inquadrati e armati da Teheran, rioccupavano ulteriori aree del Paese, la troika ha messo in piedi zone di tregua finalizzate a pacificare ed amministrare le zone occupate. Ora, con oltre il 50% del territorio siriano sotto il suo controllo, l’asse Mosca-Teheran-Ankara dichiara vittoria e sceglie di compiere un passo avanti in direzione di una risoluzione del conflitto. Lo fa sulla base di un piano che il Cremlino ha elaborato da tempo e che prevede tre passaggi: convocazione di un Congresso Nazionale del popolo siriano che serva a riappacificare il regime con i ribelli che l’hanno combattuto dalla primavera del 2011; elaborazione di una nuova Costituzione che ridetermini gli equilibri politici del Paese sulla base delle deliberazioni del Congresso; elezioni sotto la supervisione delle Nazioni Unite che stabiliscano la nuova leadership. Su questa strada vi sono però numerosi ostacoli che potrebbero far deragliare la macchina diplomatica messa in piedi da Putin con il consenso di Rouhani ed Erdogan. Il primo dei quali è rappresentato dalla persona di Assad. L’intervento militare russo, e le forze messe in campo da Teheran e da Hezbollah, sono riusciti nell’intento di mantenere in sella colui che i vari gruppi ribelli hanno cercato per oltre sei anni di detronizzare. Se l’amara realtà della sconfitta sui campi di battaglia costringe le opposizioni a rivalutare le proprie opzioni, è praticamente impensabile che le stesse ora si siedano serenamente al tavolo per trattare con un regime responsabile di crimini di guerra, uso di armi chimiche incluso. Nelle stesse ore in cui i tre di Astana discutevano a Sochi, trenta partiti siriani, riuniti nella capitale saudita per decidere il da farsi, si spaccavano; lo stesso capo dell’Alto Comitato per il Negoziato, Riyad Hijab, si è dimesso, segno tangibile della difficoltà di trovare una composizione tra il fronte realista, che accetta l’esito sfavorevole della guerra civile, e quello opposto ad ogni soluzione che contempli il potere di Assad. Come sempre, vincere la guerra è più facile che vincere la pace.
Così Vladimir Putin vuole vincere la pace in Siria
Pubblicato il 01/12/2017 - Il Friuli
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