La farsa elettorale del Venezuela si è alla fine consumata, tra brogli e violenze che hanno aggiunto dodici vittime al centinaio già cadute nei quattro mesi di muro contro muro tra regime e opposizione. Il presidente “chavista” Nicolás Maduro porta a casa l’elezione di un’Assemblea costituente, chiamata a modificare la carta fondamentale del Paese ma che, in realtà, ha lo scopo di esautorare l’Assemblea Nazionale controllata dalle opposizioni, unico argine all’autocrazia chavista. Maduro canta vittoria annunciando che quasi otto milioni di cittadini hanno partecipato al voto, quando stime indipendenti parlano di un numero di elettori pari a meno della metà di quanto pomposamente proclamato dal capo della rivoluzione “bolivariana”. Buona parte di chi è andato ai seggi, d’altronde, l’ha fatto tutt’altro che spontaneamente: sono gli oltre due milioni di impiegati pubblici cui era stato minacciato il licenziamento in caso di mancata partecipazione. I seggi pressoché deserti della capitale erano circondati dalle consuete scene efferate, con i manifestanti presi di mira dai membri della Guardia Nacional bolivariana in sella alle moto – come i bassiji iraniani che hanno soppresso l’onda verde del 2009 – e le squadracce dei “colectivos” responsabili di atroci nefandezze. Le infuocate proteste popolari, che da quattro mesi ininterrottamente occupano le piazze di un Paese colpito da una crisi senza precedenti, non hanno fatto desistere Maduro dal colpo di mano di domenica. Nei prossimi giorni, la neoeletta Assemblea costituente si insedierà e, secondo le intenzioni del presidente, avocherà a sé tutti i poteri e tenterà di riportare l’ordine. Lo farà in primo luogo revocando l’immunità parlamentare dei membri dell’Assemblea nazionale, al cui arresto non potrà opporsi nemmeno il procuratore generale che, avendo preso le distanze dal regime, sarà il primo della lista delle prossime purghe. Niente ha potuto impedire questa deriva, nemmeno la mediazione dell’ex primo ministro spagnolo Zapatero, immediatamente ridicolizzata dalle opposizioni, e ancor meno le ventilate sanzioni degli Stati Uniti. Si profila, dunque, il precipizio per un Paese che è sprofondato in una catastrofe umanitaria da terzo mondo. Quella che era una nazione benestante, benedetta da immense risorse naturali e dalle riserve petrolifere più grandi del mondo, si ritrova ormai senza generi di prima necessità, medicine e con un tasso di inflazione del 900%. Ma al presidente Maduro le scene dei cittadini che rovistano i rifiuti interessano ben poco: adesso, il suo sogno di fare il Venezuela una replica di Cuba è a portata di mano. Teoricamente, i cittadini potrebbero impedirglielo alle elezioni presidenziali previste per l’anno prossimo. Ma una delle mosse dell’Assemblea Costituente potrebbe essere proprio il rinvio sine die della tornata elettorale. Se il cartello delle opposizioni sembra intenzionato a chiamare il popolo in piazza in modo permanente, non è chiaro chi, dei loro leader, rimarrà a piede libero a rappresentare il dissenso. Il Venezuela è finito in un vicolo cieco e solo una mobilitazione compatta della comunità internazionale potrà evitare il suo tracollo.
Il colpo di mano di Maduro
Pubblicato il 01/08/2017 - Messaggero Veneto
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