Dopo l’approvazione da parte della Camera nel 2015, è approdata in Senato la riforma della legge sulla cittadinanza. Un provvedimento che nasce soprattutto per rispondere ad un’esigenza: concedere più agevolmente ai figli degli immigrati la cittadinanza italiana. Fino ad oggi, in virtù delle precedenti disposizioni, un bambino nato in Italia da genitori stranieri non otteneva automaticamente la cittadinanza se non dopo il compimento della maggiore età e sotto stringenti requisiti. L’impostazione della precedente norma del 1992 era basata sul principio del cosiddetto ius sanguinis: si è italiani solo se si è discendenti di italiani. Se approvata, la nuova legge modificherebbe parzialmente questa impostazione introducendo due principi innovativi: lo ius soli temperato e lo ius culturae. In base al primo, il bambino nato in Italia da genitori stranieri, almeno uno dei quali in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo, viene registrato all’anagrafe come italiano. Ma la parte più interessante della legge è lo ius culturae, secondo cui un ragazzo straniero, anche se nato all’estero, può diventare italiano dopo aver frequentato con profitto un ciclo di istruzione. Queste disposizioni rappresentano un compromesso rispetto ai Paesi in cui vige lo ius soli, ossia dove si diventa cittadini per il mero fatto di esservi nati. Ma soprattutto, la legge italiana ratificherebbe una situazione che è sotto gli occhi di tutti: nel nostro Paese vivono centinaia di migliaia di bambini e ragazzi che sono italiani sotto tutti gli effetti ma non per lo Stato. Le seconde generazioni di immigrati sono da tempo una componente fondamentale della popolazione scolastica, dei team sportivi, delle associazioni. Parlano italiano correntemente e spesso anche gli idiomi locali. E condividono con i loro pari italiani abitudini, passioni, sogni ed aspirazioni. Se non per il colore della pelle e per il cognome, sono dunque indistinguibili dai giovani autoctoni. La nuova legge abbatterebbe l’odiosa barriera secondo cui ci sono italiani di serie A e di serie B, e darebbe alle seconde generazioni l’opportunità di identificarsi pienamente con il nostro Paese. Che spesso è l’unico che hanno conosciuto, è quello in cui hanno i loro affetti e le loro attività, ed è quello di cui si sentono parte integrante e alla cui crescita sociale e culturale vogliono contribuire senza dover subire l’odiosa discriminazione di non disporre del nostro passaporto o di dover passare attraverso procedure burocratiche per vedersi rinnovato il diritto al soggiorno. Nell’auspicabile caso di una sua approvazione, la riforma non farebbe altro che scattare una fotografia realistica della realtà sociale italiana. Una realtà profondamente mutata dal fenomeno migratorio, che se oggi è associato all’arrivo incontrollato di migranti che giungono illegalmente entro i nostri confini, è in realtà un processo che ha tre decenni di storia e ha modificato l’identità del nostro Paese. Far diventare italiano chi italiano è già e si sente tale è ormai una necessità storica, che consentirebbe all’Italia di fare il suo ingresso nel novero dei paesi civili.
Lo ius soli e la realtà italiana
Pubblicato il 16/06/2017 - Messaggero Veneto
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