Il terrore islamista insanguina di nuovo l’Europa infierendo sul Natale di Berlino. Dell’attacco di lunedì colpiscono molte cose, a partire dalle modalità. A lanciarsi sulla Breitscheidplatz e sul mercatino circostante è stato un tir che ha travolto tutto, falcidiando dodici persone e ferendone un’altra cinquantina. È dunque una sorta di fotocopia dell’attentato del 14 luglio a Nizza, dove un altro camion lanciato a folle velocità sul lungomare si è portato con sé 86 vite. Il terrorismo di matrice islamica sa dunque dove, quando e come colpire e sceglie appositamente i nostri simboli più cari per prostrarci. Il secondo aspetto che attira l‘attenzione è il primo sospettato, poi scagionato, della strage: un richiedente asilo proveniente dal Pakistan o dall’Afghanistan ed entrato in Germania dalla rotta balcanica. Questa notizia è destinata ad acuire il dibattito sull’accoglienza in Germania, arroventatosi dopo i quattro attentati di minore entità che hanno colpito il paese quest’anno e dopo gli inverecondi fatti di Colonia. Tutto ciò conduce a riflettere su come si articoli la minaccia terroristica per un’Europa che non riesce a fermare la mano assassina di chi ci vuole ferire e umiliare. Come hanno ribadito più volte i nostri servizi, sono due i pericoli che corre il Vecchio Continente in questo momento. Il primo è il ritorno dei foreign fighters dai campi di battaglia, dove lo Stato islamico, a dispetto degli sforzi alleati, non sembra essere in procinto di essere piegato. Le agenzie di sicurezza hanno più volte segnalato la minaccia di questi combattenti con passaporto europeo che possono riattraversare i nostri confini e mettere a segno un colpo pianificato in Siria, magari in gruppo e con dei sodali locali come è avvenuto con l’attentato di Parigi del novembre 2015 e quello di Bruxelles del marzo di quest’anno. La seconda fonte di preoccupazione è la crescente radicalizzazione di molti musulmani residenti o presenti in Europa, tra cui per l’appunto la crescente popolazione di migranti. E questo ci porta al cuore del problema. Come hanno dimostrato innumerevoli casi, giovani insospettabili subiscono il lavaggio del cervello da parte di predicatori fanatici o del web e, debitamente incoraggiati, entrano in azione per compiere il presunto dovere del jihad contro gli infedeli. Se vogliamo fermare questa scia di sangue bisogna dunque intervenire su questa fonte: su questa dottrina mortifera, il jihadismo, che ha il potere di manipolare la mente di molti giovani e di spingerli sul sentiero della violenza. E qui la responsabilità ricade tutta sulle comunità islamiche locali e sui loro leader. Il loro compito è persuadere i loro correligionari che le versioni dell’islam che circolano negli ambienti jihadisti sono delle varianti artefatte che selezionano arbitrariamente dal Corano – la citazione più eloquente in tal senso è “Uccideteli ovunque li troviate” – e dagli altri testi cari all’islam brani atti a suscitare l’odio verso i non musulmani. Il futuro della convivenza in Europa dipende soprattutto da questa operazione di bonifica ormai non più procrastinabile.